Vajont. Manifestazioni in ricordo della tragedia del 9 ottobre 1963
Terminata ieri a Longarone la tre giorni di manifestazioni e iniziative per ricordare
la tragedia del Vajont del 9 ottobre del 1963 e per diffondere la cultura della prevenzione
dei disastri idrogeologici. In programma per istituzioni, Protezione civile e cittadinanza,
un’esercitazione, un meeting del volontariato e un incontro tra sopravvissuti e soccorritori
di quei tragici momenti. Il ricordo e le voci dei protagonisti nel servizio è di Elvira
Ragosta:
Longarone ricorda
in questi giorni i 1.910 morti del Vajont travolti dalla furia dell’acqua che spazzò
via interi paesi del fondovalle veneto. Memoria e prevenzione sono le parole d’ordine
della commemorazione che vede coinvolte istituzioni e volontari per testare il grado
di comunicazione e la prontezza di reazione della cittadinanza di fronte a una possibile
calamità. Cosa è cambiato, rispetto a 50 anni fa, nella gestione delle emergenze?
Lo abbiamo chiesto a Luca Zaia, presidente della Regione Veneto:
R.
- La situazione è cambiata anche perché il Vajont ha segnato un grande spartiacque
anche nell’approccio rispetto a questi temi. Voglio ricordare che spesso si dice che
la Protezione civile sia nata nel 1976 con il terremoto del Friuli; penso invece che
la vera protezione civile – quanto meno quella meno organizzata – nasce in Italia
proprio con la tragedia del Vajont. La sensibilità è aumentata, però c’è ancora molto
da fare rispetto alla tutela e al dissesto idrogeologico. Oggi abbiamo coscienza del
fatto che di fronte al tema sismico, come ad altri temi, ci si deve attrezzare e ci
si deve ovviamente “allenare” – la palestra della protezione civile va in questo senso
– ma si deve anche costruire in maniera compatibile.
D. – Il capo della Protezione
civile Gabrieli ha detto che una tragedia come quella del Vajont oggi non accadrebbe
più. È d’accordo?
R. – Non accadrebbe più come quella storia e con quei presupposti;
ora non si andrebbe più a costruire una diga sul piede di una frana. Questo è sicuramente
vero. È però altrettanto vero che in Italia non si investe assolutamente - ormai da
decenni - nella tutela dal dissesto idrogeologico. Io vengo da quella triste esperienza
dell’alluvione del Veneto dove abbiamo visto e capito che la vera sfida non è fare
strada in Italia, ma quella di salvare la vita dei cittadini e dei nostri territori
dalle esondazioni e dal dissesto idrogeologico.
D. – C’è poi l’apporto importantissimo
dei volontari: nel corso di queste commemorazioni migliaia di volontari veneti prendono
il testimone simbolicamente rispetto ai diecimila volontari che da tutta Italia giunsero
per dare una mano nei soccorsi e nel recupero delle salme…
R. – Sì, è un passaggio
di testimone ma è anche la volontà di ricordare che abbiamo un esercito silenzioso
e non cruento. Un “esercito della pace”, proprio quelle persone alle quali spesso
si rivolge anche Papa Francesco, che sono coloro magari di cui non si parla mai. In
Veneto una persona ogni sette fa volontariato e penso che questo sia il vero valore
aggiunto della nostra comunità: avere persone che gratuitamente aiutano il prossimo.
D.
– Ma come ricorda la comunità di Longarone la tragedia di quel 9 ottobre? Lo abbiamo
chiesto al parroco don Gabriele Bernardi:
R. – Amo dire che il Vajont
è stata una grande catastrofe che però ha messo in moto “fiumi di solidarietà”: se
la diga ha riversato un’onda di acqua seminando morte, la solidarietà ha invece riversato
un’onda rigenerante.