Papa Francesco incontra il clero romano: servono pastori, non chierici di Stato
Papa Francesco incontra questa mattina a San Giovanni in Laterano i sacerdoti della
sua diocesi di Roma. Per prepararsi all’incontro il cardinale vicario Agostino Vallini,
su richiesta del Papa, ha inviato al clero una riflessione scritta nel 2008 dall’allora
cardinale Bergoglio, quando era arcivescovo di Buenos Aires, per presentare l’identità
presbiterale alla luce del Documento di Aparecida, scaturito dalla V Conferenza dell’episcopato
latinoamericano. Nel servizio di Alessandro Gisotti riproponiamo alcuni passaggi
chiave di questa riflessione:
La Chiesa ha
bisogno di “pastori del popolo e non chierici di Stato”. E’ uno dei passaggi forti
della lettera che l’allora arcivescovo di Buenos Aires inviò nel 2008 ai suoi sacerdoti
l’anno dopo la Conferenza di Aparecida. Il cardinale Bergoglio sottolinea innanzitutto
che l’identità del presbitero si definisce “in relazione alla comunità” con due caratteristiche:
“dono” e “fedeltà”. “E’ opportuno non dimenticare – scrive il futuro Papa – che identità
dice appartenenza; si è nella misura in cui si appartiene. Il presbitero appartiene
al Popolo di Dio, da esso è stato tratto, ad esso è inviato e di esso forma parte”.
E avverte che “chi non entra in questa appartenenza di comunione” scivola “nell’isolamento
dell’io”. La coscienza “staccata dal percorso del Popolo di Dio – avverte – è uno
dei maggiori danni alla persona del presbitero” e ribadisce che “ciò che conferisce
identità al presbitero è la sua appartenenza al Popolo di Dio concreto”. Per questo,
“ciò che toglie o confonde la medesima identità è proprio l’isolamento della sua coscienza
in relazione a tale popolo”. Ma chi dunque permette la realizzazione di questa comunione?
L’arcivescovo di Buenos Aires non ha dubbi: è “lo Spirito Santo” che “distingue e
armonizza”. “Senza lo Spirito Santo – prosegue – corriamo il rischio di perdere l’orientamento
nella comprensione della fede”, rischiamo di “non essere inviati ma di partire
per conto nostro e finire disorientati in mille modi di autoreferenzialità”.
Il
cardinale Bergoglio rivolge dunque la sua riflessione all’immagine del Buon Pastore.
Il Documento di Aparecida, osserva, chiede ai sacerdoti “atteggiamenti nuovi”. La
prima esigenza, scrive, “è che il parroco sia una autentico discepolo di Gesù Cristo,
perché solo un sacerdote innamorato del Signore può rinnovare una parrocchia”. Nel
contempo, però, “deve essere un ardente missionario che vive nel costante anelito
di andare alla ricerca dei lontani e non si accontenta della semplice amministrazione”.
Ecco allora che l’immagine del Buon Pastore richiede “discepoli innamorati” e “missionari
ardenti”. Ed evidenzia che “alla base dell’esperienza del discepolo missionario appare,
come indispensabile, l’incontro con Gesù Cristo”. Del resto, auspica che “si passi
da una pastorale di sola conservazione ad una pastorale decisamente missionaria”.
La lettera si sofferma dunque sul tema del “custodire” il gregge affidato ai presbiteri.
“L’azione del custodire – si legge – implica una dedizione faticosa e con tenerezza”,
“si custodisce ciò che è fragile, ciò che è prezioso”. Il futuro Pontefice dedica
dunque spazio all’opzione preferenziale per i poveri. E rammenta come da Aparecida
emerga il profilo “di un sacerdote che esce verso le periferie abbandonate,
riconoscendo in ogni persona una dignità infinita”.
La Lettera non manca
poi di affrontare il tema della misericordia con alcune considerazioni illuminanti
sull’amministrazione del Sacramento della Riconciliazione. “Capita – afferma il cardinale
Bergoglio – che molte volte i nostri fedeli, nella confessione, trovino sacerdoti
lassisti o rigoristi. Nessuno dei due è veramente testimone dell’amore del Signore”,
perché “nessuno dei due si fa carico della persona, ambedue – elegantemente – la scaricano”.
Il rigorista, spiega, “la rimanda alla freddezza della legge, il lassista non la prende
sul serio e cerca di addormentare la coscienza del peccato”. E conclude: “Solo il
presbitero misericordioso si fa carico della persona, si fa prossimo, si fa vicino,
e lo accompagna nel cammino della riconciliazione”. I lassisti e i rigoristi, invece,
“non sanno nulla della prossimità e preferiscono scansare il problema”.
La
lettera si conclude dunque con i “richiami del Popolo di Dio ai suoi presbiteri”:
che abbiano una profonda esperienza di Dio, che siano missionari mossi dalla carità
pastorale, che siano in comunione con il loro vescovo e ancora che siano attenti alle
necessità dei più poveri e siano pieni di misericordia. Dietro questi richiami, avverte,
“vi è l’ansia implicita” dei fedeli che ci vuole “pastori di popolo e non chierici
di Stato, funzionari”. Uomini, soggiunge, “che non si dimentichino di essere stati
tratti dal gregge” e che “si difendano dalla ruggine dellamondanità
spirituale” e si guardino dalla “corruzione spirituale che attenta contro la natura
stessa del pastore”.