I religiosi rispondono all'appello del Papa ad aprire i conventi vuoti ai profughi:
il commento di don Bregolin
Servire, difendere, accompagnare chi è più debole: l’appello del Papa al Centro Astalli
per i rifugiati, interpella tutti. Francesco chiede a tutta la Chiesa un coraggio
e una generosità maggiore nel condividere ciò che la Provvidenza ci ha donato, fino
a dire ai religiosi che “i conventi non sono nostri, sono della carne di Cristo",
cioè i rifugiati”. Ma come la pensano i religiosi e quale la loro risposta? Gabriella
Ceraso lo ha chiesto al vicario generale dei Salesiani, don Adriano Bregolin:
R. - Questo
grido del Papa a favore dei poveri è un grido profetico che invita la Chiesa a rendersi
pienamente responsabile di quella che è la cura degli ultimi. È molto facile portare
avanti le cose solo con le parole. L’invito del Papa, invece, è un invito alla concretezza.
D.
- Quando il Papa - come ha fatto - mette in guardia dalla tentazione della mondanità
spirituale, cosa significa secondo lei?
R. - Quando veramente le motivazioni
profonde delle scelte della Chiesa e dei suoi rappresentanti, non sono più l’essere
sacramento vero della presenza dell’amore di Cristo in mezzo all’umanità. Questa è
una tentazione sempre presente, che bisogna combattere. In questo senso l’invito del
Santo Padre va accolto.
D. - Sono forti le parole del Papa quando dice: “I
conventi vuoti non sono nostri, sono della carne di Cristo”...
R. - Certamente
ci interroga. Guardi, nel nostro Capitolo generale del 2008, una delle principali
linee di azione è stata proprio quella delle nuove frontiere. La principale priorità,
essendo noi particolarmente dedicati ai giovani, è quella dei giovani poveri. Però
ci sono anche delle situazioni esterne che ci hanno provocato a questo, come le grandi
ondate migratorie di questi ultimi anni, per cui alcune nostre strutture sono state
direttamente interpellate per l’accoglienza, per esempio di giovani tunisini o di
giovani ghanesi. Vorrei anche sottolineare la grande attenzione che si dà ai giovani
immigrati nelle strutture tradizionali come i nostri oratori.
D. - Quindi,
lei dice, esistono già realtà aperte e attive in questo senso, ma silenti...
R.
– Sì, anche se è una cosa che deve prendere ancora più piede. Penso a quello che si
può fare sul piano dell’educazione: il Papa parla di “accompagnamento”, ma l’accompagnamento
è far crescere le persone sotto tutti i punti di vista, quindi il fattore educativo
resta fondamentale.
D. - Non appare dunque come una minaccia “ l’aprire i conventi
vuoti”?
R. – No, è una provocazione a pensare come attuare meglio, oggi, un
carisma di servizio, di carità. Io credo che sia un invito che ci fa pensare e che
ci deve far decidere.