20 anni fa l'omicidio mafioso del Beato Pino Puglisi, morto per amore della gente
di Brancaccio
20 anni fa, era il 15 settembre 1993, veniva ucciso dalla mafia don Giuseppe Puglisi,
il parroco del quartiere palermitano di Brancaccio, beatificato il 25 maggio scorso
con una solenne celebrazione al “Foro Italico Umberto I” di Palermo, davanti a 80mila
fedeli. La città, ieri, lo ha ricordato con una serie di manifestazioni e con una
Messa presieduta dall’arcivescovo, il cardinale Paolo Romeo, sul luogo dell’uccisione.
Servizio di Francesca Sabatinelli:
Avrebbe compiuto
56 anni, il 15 settembre di venti anni fa. Ai suoi assassini andò incontro con un
sorriso, perché “se lo aspettava” come disse a uno dei sicari, il pentito Salvatore
Grigoli, emissario dei mandanti i fratelli Graviano, arrestati nel 1994 e condannati
all’ergastolo. A Brancaccio, popolare rione palermitano, don Pino Puglisi ci era nato
e lì è stato ucciso, mentre rientrava a casa, dal braccio armato delle cosche che
non gli perdonavano di aiutare i giovani del quartiere, togliendoli dalla strada,
sottraendoli quindi alle grinfie mafiose alla costante ricerca di manovalanza. Nonostante
le minacce ricevute, aveva continuato a insegnare loro le regole e il valore dell’onestà.
E’ stato da molti chiamato il parroco antimafia, in realtà le persone a lui più vicine
lo chiamavano 3P. Maurizio Artale, presidente del Centro Padre Nostro, fondato
da don Pino nel 1993, subito divenuto punto di riferimento per i giovani e le famiglie
del quartiere:
R. – Erano le iniziali: Padre Pino Puglisi. Oggi stonerebbe
qualche cosa, perché dovremmo mettere una “B” e due “P”, perché è beato, ormai!
D.
– Cosa ha significato per voi la sua beatificazione?
R. – Sicuramente è stato
un po’ il coronamento di tutto il lavoro che abbiamo svolto in questi 20 anni. Noi
abbiamo creduto in padre Puglisi da subito, e quindi questo per noi è stato importante.
Abbiamo compreso che questo piccolo prete di borgata era un uomo giusto.
D.
– Che cosa si dice oggi nel quartiere Brancaccio, in quegli stessi vicoli che hanno
visto camminare don Pino, ma hanno visto camminare i suoi assassini?
R. – Infatti!
Cosa si dice? Che se lo meritava. Ecco, questo ‘se lo meritava’, però, racchiude forse
un po’ tutta la filosofia del palermitano: “Non ci resta che dare onore al tuo lavoro,
però se ti fossi fatto i fatti tuoi, oggi non saresti morto”. Ancora, secondo me,
non si è percepito veramente il valore di quello che Puglisi ha fatto, non soltanto
per Brancaccio, ma per Palermo e per la Chiesa di Palermo. Gli 80 mila fedeli che
sono arrivati durante la celebrazione della sua beatificazione, ancora oggi non si
sono tramutati in braccia, gambe, menti, che vengono a spendersi a Brancaccio. Invece
noi avevamo immaginato che dopo quella partecipazione corale ci sarebbe stata una
ricaduta anche all’interno del quartiere. Oggi, comunque, in Brancaccio abbiamo realizzato
tanti dei sogni di Puglisi: il Centro Polivalente Sportivo, la casa dove accogliamo
mamme vittime di abusi e maltrattamenti, il Centro per i detenuti, i due Centri anziani,
però abbiamo bisogno di braccia, abbiamo bisogno di volontari, abbiamo bisogno di
gente che si spenda in quel quartiere. Che senso ha parlare di Puglisi nei convegni,
nelle tavole rotonde, scrivere libri sulla vita di Puglisi se poi questo non si tramuta
nella vicinanza alla gente che soffre? Quindi, io penso che ancora la gente buona
di Brancaccio non si sia impegnata abbastanza per ricambiare quel gesto di amore che
Puglisi ha avuto per tutti loro. Puglisi è stato ammazzato – e lui si è fatto ammazzare
– per quelle persone. Puglisi, sotto tanti punti di vista, è stato il precursore di
tante iniziative. Vent’anni fa, dire “chi usa la violenza non è un uomo ma è assimilabile
ad una bestia” e andare in giro per Brancaccio con gli striscioni con i ragazzi, non
è come quello che possono fare oggi tante altre associazioni! Era uno che aveva tanta
speranza, e aveva fiducia in quella che poteva essere la forza dirompente della Parola
di Dio!
D. – In questi venti anni, che cosa è cambiato, a Brancaccio?
R.
– Ah, ma sicuramente è cambiato tantissimo, grazie ad un uomo che è stato ammazzato.
Quindi, paradossalmente, quel frutto che la mafia voleva cancellare, dicendo “noi
ti facciamo morire e marcirai”, quel frutto ha dato tantissimi semi. Le istituzioni,
da parte loro, hanno fatto delle azioni “spot”, a macchia di leopardo, ma non c’è
stato effettivamente un progetto per Brancaccio!
D. – Il vostro Centro continua
ad essere soggetto ad attentati, ad intimidazioni …
R. – Questo è il segnale
che siamo sulla buona strada, e spesso questo non si comprende. Loro ci dicono: “Noi
siamo qua”, e noi rispondiamo loro: “E noi pure!” e continuiamo a stare là. Io sono
stato minacciato di morte nel 2007, questo significa che uno si ferma un istante e
dice: “Bene, che devo fare?”. E poi se ha quella molla, però si dice: “Se chi mi ha
preceduto in questa opera titanica, che era padre Pino Puglisi, ci ha rimesso la vita,
allora, diamo un senso alla nostra!”. Abbiamo un ergastolano, deve sentire che cosa
lui dice di Puglisi! Ci ha fatto commuovere quando ha detto: “Mi auguro, quando morirò
anch’io, di poterlo incontrare, padre Puglisi, perché sto lavorando tanto per il suo
Centro che sarebbe un peccato se io non lo incontrassi!”. Allora, il mio appello è:
venite a Brancaccio, venite al Centro Padre Nostro! Se veramente avete amato e continuerete
ad amare padre Puglisi, dovete venire là a testimoniare l’amore che avete per lui.
D.
– Ho davanti la foto che è stata esposta anche il giorno della sua beatificazione,
la conosciamo tutti, questo suo sorriso sereno, questi suoi occhi accoglienti. Le
cronache ci dicono che questo stesso sorriso è stato quello che ha accolto i suoi
sicari …
R. – Non solo li ha accolti: li ha convertiti! Il primo miracolo,
secondo la mia modesta opinione, che ha fatto Puglisi è stato avere convertito Salvatore
Grigoli. Lui dirà al tribunale: “Vostro onore, io ho ucciso 40-50 persone, non mi
ricordo. Di uno mi ricordo: padre Puglisi. Perché mentre gli dicevo: questa è una
rapina, lui mi guardò negli occhi e mi sorrise. Ma non era un sorriso di beffa, era
il sorriso di un’accoglienza”. Ecco qual è il miracolo di Puglisi. Noi quel sorriso
l’abbiamo stampato, come ormai tutti, nella nostra mente. Tutte le sere quando io
torno a casa, passo da piazzale Anita Garibaldi dove lui è stato ammazzato, guardo
quella statua e ogni sera gli dico sempre la stessa cosa: “Pino, tutto a posto? Sì?
Ci vediamo domani”. E allora, è un volere continuare la sua opera, anche nelle cose
quotidiane, nella semplicità. Non c’è bisogno di eroi, in questa terra. C’è bisogno
soltanto che ognuno faccia la sua parte, come ci ha insegnato lui.