2013-09-14 16:12:07

20 anni fa l'omicidio mafioso del Beato Pino Puglisi, morto per amore della gente di Brancaccio


20 anni fa, era il 15 settembre 1993, veniva ucciso dalla mafia don Giuseppe Puglisi, il parroco del quartiere palermitano di Brancaccio, beatificato il 25 maggio scorso con una solenne celebrazione al “Foro Italico Umberto I” di Palermo, davanti a 80mila fedeli. La città, ieri, lo ha ricordato con una serie di manifestazioni e con una Messa presieduta dall’arcivescovo, il cardinale Paolo Romeo, sul luogo dell’uccisione. Servizio di Francesca Sabatinelli: RealAudioMP3

Avrebbe compiuto 56 anni, il 15 settembre di venti anni fa. Ai suoi assassini andò incontro con un sorriso, perché “se lo aspettava” come disse a uno dei sicari, il pentito Salvatore Grigoli, emissario dei mandanti i fratelli Graviano, arrestati nel 1994 e condannati all’ergastolo. A Brancaccio, popolare rione palermitano, don Pino Puglisi ci era nato e lì è stato ucciso, mentre rientrava a casa, dal braccio armato delle cosche che non gli perdonavano di aiutare i giovani del quartiere, togliendoli dalla strada, sottraendoli quindi alle grinfie mafiose alla costante ricerca di manovalanza. Nonostante le minacce ricevute, aveva continuato a insegnare loro le regole e il valore dell’onestà. E’ stato da molti chiamato il parroco antimafia, in realtà le persone a lui più vicine lo chiamavano 3P. Maurizio Artale, presidente del Centro Padre Nostro, fondato da don Pino nel 1993, subito divenuto punto di riferimento per i giovani e le famiglie del quartiere:

R. – Erano le iniziali: Padre Pino Puglisi. Oggi stonerebbe qualche cosa, perché dovremmo mettere una “B” e due “P”, perché è beato, ormai!

D. – Cosa ha significato per voi la sua beatificazione?

R. – Sicuramente è stato un po’ il coronamento di tutto il lavoro che abbiamo svolto in questi 20 anni. Noi abbiamo creduto in padre Puglisi da subito, e quindi questo per noi è stato importante. Abbiamo compreso che questo piccolo prete di borgata era un uomo giusto.

D. – Che cosa si dice oggi nel quartiere Brancaccio, in quegli stessi vicoli che hanno visto camminare don Pino, ma hanno visto camminare i suoi assassini?

R. – Infatti! Cosa si dice? Che se lo meritava. Ecco, questo ‘se lo meritava’, però, racchiude forse un po’ tutta la filosofia del palermitano: “Non ci resta che dare onore al tuo lavoro, però se ti fossi fatto i fatti tuoi, oggi non saresti morto”. Ancora, secondo me, non si è percepito veramente il valore di quello che Puglisi ha fatto, non soltanto per Brancaccio, ma per Palermo e per la Chiesa di Palermo. Gli 80 mila fedeli che sono arrivati durante la celebrazione della sua beatificazione, ancora oggi non si sono tramutati in braccia, gambe, menti, che vengono a spendersi a Brancaccio. Invece noi avevamo immaginato che dopo quella partecipazione corale ci sarebbe stata una ricaduta anche all’interno del quartiere. Oggi, comunque, in Brancaccio abbiamo realizzato tanti dei sogni di Puglisi: il Centro Polivalente Sportivo, la casa dove accogliamo mamme vittime di abusi e maltrattamenti, il Centro per i detenuti, i due Centri anziani, però abbiamo bisogno di braccia, abbiamo bisogno di volontari, abbiamo bisogno di gente che si spenda in quel quartiere. Che senso ha parlare di Puglisi nei convegni, nelle tavole rotonde, scrivere libri sulla vita di Puglisi se poi questo non si tramuta nella vicinanza alla gente che soffre? Quindi, io penso che ancora la gente buona di Brancaccio non si sia impegnata abbastanza per ricambiare quel gesto di amore che Puglisi ha avuto per tutti loro. Puglisi è stato ammazzato – e lui si è fatto ammazzare – per quelle persone. Puglisi, sotto tanti punti di vista, è stato il precursore di tante iniziative. Vent’anni fa, dire “chi usa la violenza non è un uomo ma è assimilabile ad una bestia” e andare in giro per Brancaccio con gli striscioni con i ragazzi, non è come quello che possono fare oggi tante altre associazioni! Era uno che aveva tanta speranza, e aveva fiducia in quella che poteva essere la forza dirompente della Parola di Dio!

D. – In questi venti anni, che cosa è cambiato, a Brancaccio?

R. – Ah, ma sicuramente è cambiato tantissimo, grazie ad un uomo che è stato ammazzato. Quindi, paradossalmente, quel frutto che la mafia voleva cancellare, dicendo “noi ti facciamo morire e marcirai”, quel frutto ha dato tantissimi semi. Le istituzioni, da parte loro, hanno fatto delle azioni “spot”, a macchia di leopardo, ma non c’è stato effettivamente un progetto per Brancaccio!

D. – Il vostro Centro continua ad essere soggetto ad attentati, ad intimidazioni …

R. – Questo è il segnale che siamo sulla buona strada, e spesso questo non si comprende. Loro ci dicono: “Noi siamo qua”, e noi rispondiamo loro: “E noi pure!” e continuiamo a stare là. Io sono stato minacciato di morte nel 2007, questo significa che uno si ferma un istante e dice: “Bene, che devo fare?”. E poi se ha quella molla, però si dice: “Se chi mi ha preceduto in questa opera titanica, che era padre Pino Puglisi, ci ha rimesso la vita, allora, diamo un senso alla nostra!”. Abbiamo un ergastolano, deve sentire che cosa lui dice di Puglisi! Ci ha fatto commuovere quando ha detto: “Mi auguro, quando morirò anch’io, di poterlo incontrare, padre Puglisi, perché sto lavorando tanto per il suo Centro che sarebbe un peccato se io non lo incontrassi!”. Allora, il mio appello è: venite a Brancaccio, venite al Centro Padre Nostro! Se veramente avete amato e continuerete ad amare padre Puglisi, dovete venire là a testimoniare l’amore che avete per lui.

D. – Ho davanti la foto che è stata esposta anche il giorno della sua beatificazione, la conosciamo tutti, questo suo sorriso sereno, questi suoi occhi accoglienti. Le cronache ci dicono che questo stesso sorriso è stato quello che ha accolto i suoi sicari …

R. – Non solo li ha accolti: li ha convertiti! Il primo miracolo, secondo la mia modesta opinione, che ha fatto Puglisi è stato avere convertito Salvatore Grigoli. Lui dirà al tribunale: “Vostro onore, io ho ucciso 40-50 persone, non mi ricordo. Di uno mi ricordo: padre Puglisi. Perché mentre gli dicevo: questa è una rapina, lui mi guardò negli occhi e mi sorrise. Ma non era un sorriso di beffa, era il sorriso di un’accoglienza”. Ecco qual è il miracolo di Puglisi. Noi quel sorriso l’abbiamo stampato, come ormai tutti, nella nostra mente. Tutte le sere quando io torno a casa, passo da piazzale Anita Garibaldi dove lui è stato ammazzato, guardo quella statua e ogni sera gli dico sempre la stessa cosa: “Pino, tutto a posto? Sì? Ci vediamo domani”. E allora, è un volere continuare la sua opera, anche nelle cose quotidiane, nella semplicità. Non c’è bisogno di eroi, in questa terra. C’è bisogno soltanto che ognuno faccia la sua parte, come ci ha insegnato lui.

Ultimo aggiornamento: 16 settembre







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