Filippine: padre Ufana rilasciato dai ribelli a Zamboanga. Attesa per gli altri ostaggi
È libero padre Michael Ufana, rilasciato questo venerdì dai separatisti musulmani
che da lunedì sono asserragliati in alcuni sobborghi della città di Zamboanga, sull’isola
filippina di Mindanao. Il sacerdote era stato sequestrato nei giorni scorsi nel quartiere
di Santa Catalina dai ribelli del Fronte nazionale di liberazione Moro, che si oppongono
al negoziato in corso tra governo di Manila e separatisti locali. A Zamboanga è giunto
nelle ultime ore anche il presidente filippino Benigno Aquino, che ha condannato le
azioni dei guerriglieri, nelle cui mani sarebbero ancora in ostaggio circa 200 civili.
Per una testimonianza da Zamboanga, ascoltiamo padre Nevio Viganò, missionario
del Pime, parroco della Trasfigurazione a Sinunuc, quartiere della città. L’intervista
è di Giada Aquilino:
R. - Padre Michael
Ufana è stato ostaggio fino ad oggi (13 settembre, ndr). E' stato rilasciato a condizione
che facesse da intermediario, tra i ribelli e le autorità: il rilascio dei sequestrati
in cambio di un lasciapassare ai ribelli, in modo da andar via senza conseguenze.
La cosa invece è saltata perché è stata votata all’unanimità una risoluzione dal Consiglio
della città di Zamboanga per una forzata evacuazione, chiamata appunto “forced evacuation”;
il che vuol dire un attacco dell’esercito e della polizia verso i ribelli per liberare
gli ostaggi.
D. – Qual è la situazione sia degli ostaggi, sia dei profughi?
R.
– Degli ostaggi non si sa niente, anche se due di loro sono riusciti a scappare nelle
ultime ore. Non si sa neppure quanti siano esattamente. I “fuoriusciti” sono dislocati
in vari centri; il più grosso è quello dello stadio dell’università che ne accoglie
per adesso circa 20 mila. Ci sono problemi di cibo per gli ostaggi, per i militari
e per i rifugiati; bisogna portare acqua continuamente . Ci sono anche molti bambini
e disagi per le persone di ogni età. L’ospedale governativo è stato sfollato qualche
giorno fa e tutti i malati sono stati dislocati in vari ospedali privati. Addirittura
i 39 pazienti del reparto di malattie mentali sono stati trasferiti al Centro Silsilah,
tenuto da padre Sebastiano D’Ambra, vicino alla nostra parrocchia. Al momento è in
corso un attacco frontale fatto con bombe e armi da fuoco per le strade. Si spera
che finisca presto perché più si va avanti e più la situazione peggiora.
D.
– Lei ha parlato del Centro di padre D’Ambra. Qual è il ruolo della Chiesa? Come vi
state muovendo?
R. – Noi aiutiamo tutte le persone che chiedono rifugio, ospitalità
nelle nostre parrocchie; chiedono cibo e tutto quello di cui hanno bisogno. Anche
da noi qui in parrocchia, verso sera, arriva gente che ha paura di stare in casa durante
le ore del coprifuoco, dalle otto di sera alle cinque di mattina. E passa da noi le
ore notturne. Questo in effetti avviene in tutte le parrocchie della città. Soprattutto
alcune di queste, le più grosse del centro - che sono più vicine alle zone colpite,
dove c’è la presenza di ribelli - ospitano 24 ore al giorno gli sfollati. Noi invitiamo
la gente e raccogliamo fondi, ma soprattutto raccogliamo viveri, vestiti per darli
alla gente, che ha bisogno di tutto: è scappata di casa con quello che aveva addosso
e basta. Comunque la città è molto unita, gli abitanti di Zamboanga danno una mano
in tutti i modi perché gli aiuti non arrivano facilmente: l’aeroporto è chiuso, il
porto è chiuso ed anche le banche, per cui la gente non può neanche ritirare i soldi
per comprare cibo o altre necessità.
D. – Lei ha detto che la gente è unita
in questo soccorso a chi ha bisogno; quanto può aiutare in tal senso il dialogo tra
cristiani e musulmani?
R. – Gran parte degli sfollati delle zone colpite sono
musulmani. Adesso la gente è unita, nel senso che tutti quelli che possono aiutano.
E la Chiesa cattolica è in prima linea a dare alla gente aiuti di ogni tipo, senza
distinzioni.