Lettera a Scalfari. Mons. Forte: Papa Francesco ci insegna cosa sia veramente dialogo
Ha destato ampia eco e continua a suscitare spunti di riflessione e confronto la
lettera che Papa Francesco ha indirizzato ad Eugenio Scalfari, pubblicata ieri dal
quotidiano “La Repubblica”. Sull’importanza di questo gesto nell’orizzonte del dialogo
tra credenti e non credenti, Alessandro Gisotti ha intervistato l’arcivescovo
di Chieti-Vasto, mons. Bruno Forte:
R. – In questa
lettera, Papa Francesco dice cose bellissime ma che appartengono totalmente alla fede,
alla tradizione della Chiesa. A cominciare da quel punto che ha suscitato qualche
stupore, quando dice che non si deve parlare di assolutezza in rapporto alla verità
cristiana, perché la verità non è absoluta, non è sciolta, separata, ma è una
verità che è relazione, amore in se stessa – Trinità Santa – e nel rapporto con gli
uomini. Questo è un punto molto bello e molto importante, ma che appartiene – in realtà
– alla grande tradizione cristiana. Ciò che è nuovo, per certi aspetti sorprendente
e a mio avviso bello è che Papa Francesco intavoli questo dialogo con un pensatore,
un giornalista di grande intelligenza, dichiaratamente non credente, e che questo
sia, di fatto, tramite Scalfari, ospitato su un giornale come “La Repubblica”, un
giornale che si caratterizza anche per un’impronta fortemente – come si dice – laica.
Come se il Papa non avesse timore di amare la persona umana cosi com’è, dov’essa si
trova, senza porre condizioni pregiudiziali all’incontro e al dialogo. Questo è veramente
dialogo: un’apertura all’altro, nella fedeltà alla propria identità, ma anche
nell’accoglienza profonda della persona dell’altro, così com’essa è.
D. – Con
un gesto anche come questo – inedito – di una risposta via lettera, il Papa sembra
quasi dire a tutti, a tutti i cristiani, di correre “il rischio” della relazione,
sempre e con tutti, appunto?
R. – Credo che in questo il Papa voglia essere
ciò che sin dall’inizio ha mostrato di essere: vuole essere anzitutto una persona
umana e come tutte le persone umane, che – con l’aiuto di Dio – hanno potuto realizzare
la propria vocazione alla pienezza d’umanità, che è l’amore, è una persona umana che
vuole relazionarsi con tutti, senza schemi, senza etichette. Credo che sia questo
lo stile di Francesco: uno stile singolarmente efficace, come si vede dall’accoglienza
e dall’interesse che suscita, ma uno stile – come dire: non tattico, cioè non è qualcosa
che Francesco fa per tattica; lo fa perché è così, perché è la sua identità profonda,
il suo voler continuamente riferirsi al Dio vivente e proprio così relazionarsi all’altro,
chiunque sia l’altro, nel rispetto, nell’accoglienza, nella verità e nell’amore.
D.
– Assieme alla verità, un altro tema fondamentale toccato in questa lettera è la questione
della coscienza, tema – questo – caro anche a Benedetto XVI …
R. – Certamente.
Credo sia importante sottolineare il filo rosso che congiunge questi due Pontificati,
che in realtà sono intimamente correlati. Io spesso ripeto che non ci sarebbe Francesco
se non ci fosse stato il Pontificato coraggioso, umile, credente di Benedetto, la
riforma spirituale della Chiesa, il senso del primato di Dio che egli ha impresso
così fortemente alla vita ecclesiale. Francesco eredita tutto questo. Su questa eredità,
egli esprime liberamente e con totale spontaneità la sua profonda identità di uomo
di Dio, di uomo spirituale, di gesuita, dunque di persona che cerca di vivere continuamente
alla presenza di Dio secondo la spiritualità di Ignazio di Loyola. Credo che anche
il richiamo alla coscienza non sia che un aspetto profondo della spiritualità ignaziana:
come ha detto il semiologo francese Roland Barthes – e l’affermazione è sorprendente
proprio perché viene da questa fonte – il libro degli esercizi spirituali di Ignazio
non è il libro della risposta, ma il libro della interrogazione e della domanda. In
altre parole, gli Esercizi Spirituali ci aiutano a metterci in ascolto della voce
della coscienza, che poi è il riflesso interiore di quello che Dio ha scritto per
noi, dentro di noi, perché realizzassimo la nostra vocazione umana. E anche in questo
il Papa è nella grande tradizione cattolica e nello stesso tempo riesce a presentarla
in maniera semplice e profonda, in modo da non solo stupire, ma soprattutto attrarre
e far pensare chi crede e chi non crede.