Nella rivoluzione siriana sempre più significativa la presenza dell'estremismo islamico
Da parte sua il presidente siriano Assad continua a negare, anche nell’intervista
all’emittente americana Cbs, di aver fatto uso di armi chimiche. Assad attribuisce
la responsabilità dei fatti del 21 agosto ai ribelli. Ad Obama dice che non può tracciare
linee rosse di intervento per conto di altri. Ma guardiamo alla posizione dei Paesi
vicini alla Siria. Della reazione alla proposta russa ci parla nel servizio Marina
Calculli:
Tra le prime
dichiarazioni dopo il rilascio, il giornalista Quirico, che ieri dopo il colloquio
in Procura ha salutato i colleghi al suo giornale ed è poi tornato a casa, ha riferito
di ammissioni da parte di ribelli dell’uso di armi chimiche per incolpare Assad. Quirico
e il collega belga Piccinin sono certi di cosa hanno sentito ma ipotizzano anche strategie
di propaganda. In ogni caso Quirico denuncia che la "rivoluzione siriana" è stata
dirottata da frange dell'estremismo islamico. Fausta Speranza ne ha parlato
con Riccardo Redaelli, docente di Storia e istituzioni del mondo islamico all'Università
Cattolica di Milano:00:03:12
R. – E’ una presenza – ahimé – in forte
aumento ed è sempre più determinante per le sorti del conflitto. Rispetto ai cosiddetti
"moderati" dell’Esercito libero della Siria, i gruppi jihadisti hanno sempre più peso.
Sono raggruppati in vari movimenti, il più forte è il "Jabat al Nusra", l’altro è
lo Stato islamico dell’Iraq del Levante. Lo dimostrano dati statunitensi, in base
tra l’altro ai morti tra i mujaheddin, cioè i combattenti che combattono in jihad
arabi non siriani. Ebbene, la maggior parte di questi è morta nelle file dei gruppi
jihadisti. Questo ci dice che dall’estero arrivano sempre più combattenti che sono
legati ad al Qaeda e ai movimenti jihadisti, che non vogliono l’abbattimento di un
dittatore sanguinario come Assad per portare la cosiddetta "democrazia", ma semplicemente
per abbattere un nemico dell’islam e creare uno Stato fanatizzato e vicino al terrorismo
islamico.
D. – Chiaramente, l’argomento delle armi chimiche è un argomento
drammatico, ma anche questo aspetto andrebbe discusso. Secondo lei, l’attesa del voto
del Congresso statunitense sull’ipotesi di un attacco armato, è un’attesa che considera
anche il dibattito intorno a questo aspetto?
R. – Sì, le armi chimiche sono
un’arma orribile e i morti ci hanno impressionato. Ma ci devono impressionare tutti
i morti. Le armi chimiche hanno fatto probabilmente lo 0,5% dei morti che ci sono
stati in Siria in questi due anni. Detto questo, in ogni caso c’è una commissione
Onu, degli ispettori Onu che stanno monitorando la situazione. Bisognerebbe perlomeno
lasciar lavorare gli ispettori Onu e aspettare il loro responso, perché non è del
tutto chiaro chi le abbia usate: non vi è ancora la certezza che le abbiano usate
forze armate siriane per ordine del governo di Damasco.
D. – Che cosa dire
di questo botta e risposta mediatico tra Mosca e Washington?
R. – Questo è
preoccupante: ci mostra quanto la questione non sia tanto proteggere i cittadini siriani,
il popolo siriano, ma quanto ci sia un gioco di potere. Obama vuole un attacco e certi
settori vogliono un attacco soprattutto perché la Siria è un alleato-chiave dell’Iran.
I Paesi arabi combattono in Siria perché combattono l’espansione o comunque questo
ruolo geopolitico dell’Iran e dello sciismo: questa non ha nulla a che fare con la
popolazione siriana. E tanto meno Putin se ne preoccupa perché il sostegno ad Assad
è un sostegno quasi secondo i vecchi schemi di guerra-fredda: la Russia sostiene la
Siria perché ne ha dei ritorni geopolitici molto forti, e perché ha un importante
porto in Medio Oriente. Tutto questo inquadra il conflitto siriano in uno scontro
regionale e internazionale e non più legato alla liberazione di un popolo da un dittatore.
Intanto sul terreno in Siria c’è l’allarme lanciato dalla zona vicina alla diga sull'Eufrate,
nel nord della Siria, colpita da bombardamenti dell'aviazione siriana fedele a Assad.
Secondo gli abitanti c’è il rischio di una devastante inondazione dell'intera provincia,
da mesi sotto il controllo delle truppe ribelli.