Svolta in Siria: si tratta per mettere le armi chimiche siriane sotto tutela internazionale
Forse ad una svolta la questione siriana: Damasco saluta con favore la proposta russa
di mettere sotto tutela internazionale il suo arsenale chimico. Lo ha detto il ministro
degli Esteri siriano citato dalla tv di stato. Ieri mattina il segretario di Stato
Usa Kerry, aveva ipotizzato lo stop ai raid in cambio di una consegna delle armi,
e in serata Washington si è detta comunque disposta al dialogo. Intanto, l'Italia
riabraccia Domenico Quirico, l'inviato della Stampa rilasciato dopo cinque mesi di
sequestro in Siria e ieri ricevuto dal premier Letta. Il servizio di Marina Calculli:
L’iniziativa
è venuta dalla Russia, l’alleato numero uno del regime di Asad. Mosca ha chiesto a
Damasco di porre le armi chimiche sotto tutela internazionale. Il ministro degli Esteri
siriano, Walid al-Mouallem in visita diplomatica nella capitale russa, ha salutato
con favore l'iniziativa che ha definito “fondata sulle preoccupazioni dei dirigenti
russi per la sicurezza del nostro paese ". Un vero e proprio coup de theatre in una
saga in cui l’incertezza ha fatto da filo conduttore. E dal governo americano è arrivata
prontamente una reazione positiva: il segretario di Stato John Kerry ha infatti affermato
che "Assad potrebbe evitare un attacco consegnando le sue armi chimiche alla comunità
internazionale entro la settimana prossima". Secondo Ban Ki Moon si tratta di un possibile
punto di svolta nella crisi”. Ma i giochi non sono del tutto fatti. La Casa Bianca
ribadisce che “il presidente siriano è un dittatore brutale di cui non ci si può fidare”.
A gettare acqua sul fuoco dell’incertezza, inoltre, oggi è arrivata anche una dichiarazione
di Pierre Piccinin, liberato ieri assieme all’inviato della Stampa, Domenico Quirico
dopo 5 mesi di detenzione nelle mani dei ribelli siriani. I due giornalisti hanno
origliato una conversazione dei loro rapitori, da cui scaturirebbe che l’attacco chimico
è stato organizzato dai ribelli per incastrare Asad e costringere la comunità internazionale
a intervenire. Domenico Quirico però ha precisato che si tratta di una testimonianza
e non di una prova.
Il giornalista Quirico appena rilasciato ha anche detto
di sentirsi “tradito” dalla "rivoluzione siriana", che interesse e speranze aveva
suscitato ai tempi della presa di Aleppo da parte dei ribelli e che poi è stata dirottata
in parte dalle frange dell'estremismo islamico. Fausta Speranza ne ha parlato
con Riccardo Redaelli, docente di Storia e istituzioni del mondo islamico all'Università
Cattolica di Milano:
R. – E’ una
presenza – ahimé – in forte aumento ed è sempre più determinante per le sorti del
conflitto. Rispetto ai cosiddetti "moderati" dell’Esercito libero della Siria, i gruppi
jihadisti hanno sempre più peso. Sono raggruppati in vari movimenti, il più forte
è il "Jabat al Nusra", l’altro è lo Stato islamico dell’Iraq del Levante. Lo dimostrano
dati statunitensi, in base tra l’altro ai morti tra i mujaheddin, cioè i combattenti
che combattono in jihad arabi non siriani. Ebbene, la maggior parte di questi è morta
nelle file dei gruppi jihadisti. Questo ci dice che dall’estero arrivano sempre più
combattenti che sono legati ad al Qaeda e ai movimenti jihadisti, che non vogliono
l’abbattimento di un dittatore sanguinario come Assad per portare la cosiddetta "democrazia",
ma semplicemente per abbattere un nemico dell’islam e creare uno Stato fanatizzato
e vicino al terrorismo islamico.
D. – Chiaramente, l’argomento delle armi chimiche
è un argomento drammatico, ma anche questo aspetto andrebbe discusso. Secondo lei,
l’attesa del voto del Congresso statunitense sull’ipotesi di un attacco armato, è
un’attesa che considera anche il dibattito intorno a questo aspetto?
R. – Sì,
le armi chimiche sono un’arma orribile e i morti ci hanno impressionato. Ma ci devono
impressionare tutti i morti. Le armi chimiche hanno fatto probabilmente lo 0,5% dei
morti che ci sono stati in Siria in questi due anni. Detto questo, in ogni caso c’è
una commissione Onu, degli ispettori Onu che stanno monitorando la situazione. Bisognerebbe
perlomeno lasciar lavorare gli ispettori Onu e aspettare il loro responso, perché
non è del tutto chiaro chi le abbia usate: non vi è ancora la certezza che le abbiano
usate forze armate siriane per ordine del governo di Damasco.
D. – Che cosa
dire di questo botta e risposta mediatico tra Mosca e Washington?
R. – Questo
è preoccupante: ci mostra quanto la questione non sia tanto proteggere i cittadini
siriani, il popolo siriano, ma quanto ci sia un gioco di potere. Obama vuole un attacco
e certi settori vogliono un attacco soprattutto perché la Siria è un alleato-chiave
dell’Iran. I Paesi arabi combattono in Siria perché combattono l’espansione o comunque
questo ruolo geopolitico dell’Iran e dello sciismo: questa non ha nulla a che fare
con la popolazione siriana. E tanto meno Putin se ne preoccupa perché il sostegno
ad Assad è un sostegno quasi secondo i vecchi schemi di guerra-fredda: la Russia sostiene
la Siria perché ne ha dei ritorni geopolitici molto forti, e perché ha un importante
porto in Medio Oriente. Tutto questo inquadra il conflitto siriano in uno scontro
regionale e internazionale e non più legato alla liberazione di un popolo da un dittatore.
Intanto
sul terreno c’è l’allarme lanciato dalla zona vicina alla diga sull'Eufrate, nel nord
della Siria, colpita da bombardamenti dell'aviazione siriana fedele a Assad. Secondo
gli abitanti c’è il rischio di una devastante inondazione dell'intera provincia, da
mesi sotto il controllo delle truppe ribelli.