Mons. Tomasi: le lobby delle armi soffiano sul fuoco della guerra in Siria
Si fanno guerre per vendere armi. Ha destato ampia eco la denuncia di Papa Francesco
all’Angelus contro il traffico delle armi che alimentano le guerre, in particolare
quella che sta sconvolgendo la Siria. Da anni, particolarmente impegnato sul fronte
della lotta a questa piaga è mons.Silvano Maria Tomasi, osservatore
permanente della Santa Sede all’Ufficio Onu di Ginevra. Alessandro Gisotti
lo ha intervistato:
R. - Mi sembra
quanto mai opportuno che il Santo Padre richiami l’attenzione del mondo sul traffico
illegale di armi. I conflitti violenti - ne vediamo tanti in questi giorni - e le
armi vanno insieme. La pace non si persegue però provvedendo ai mezzi di distruzione,
ma la Comunità internazionale investe risorse sproporzionate in spese militari. Nel
2012 sono stati investiti 1.750 miliardi di dollari in spese militari; l’8% della
cifra globale va nel Medio Oriente. È proprio “olio sul fuoco”…
D. – Le armi
ai siriani, Assad e ribelli, le hanno date industrie di Paesi terzi, di Paesi stranieri.
Alla fine sono le grandi lobby delle armi che decidono le guerre?
R. – Il profitto
diventa la legge suprema. Ci sono guadagni enormi che vengono fatti attraverso il
traffico di armi; quindi, c’è chi “soffia sul fuoco” per poter vendere ancora armi.
Inoltre, mi pare ci sia un’altra considerazione da fare: si ignorano le conseguenze
a lunga scadenza del commercio di armi; le armi continuano a rafforzare la criminalità
e a nutrire le mafie di vario tipo. Interessi commerciali - come dice il Papa - giocano
un ruolo importante nel trasferimento di armi, ma c’è di mezzo il guadagno dei trafficanti
e addirittura interessi economici di Stati che producono e vendono armi, come gli
Stati Uniti, la Russia, il Regno Unito, la Francia, la Germania, Israele, Cina ed
altri. Sono Stati dove l’industria della produzione di armi è una componente significativa
dell’economia.
D. – Il presidente americano Eisenhower - che come generale
aveva peraltro vinto la Seconda Guerra mondiale - ebbe ad affermare che “dobbiamo
guardarci le spalle dalle influenze esercitate dal complesso militare-industriale”.
Questa è una denuncia sempre attuale e forse ancora di più in questo momento…
R.
– Il legame tra il complesso industriale e militare è reale ed ha un peso politico
sproporzionato all’interesse del bene comune di un Paese, soprattutto dei grandi Paesi
sviluppati. La comunità internazionale continua a parlare di pace. Dovrebbe quindi
essere la priorità numero uno degli sforzi internazionali quello di facilitare tutto
quello che costruisce la pace; invece, vediamo che c’è veramente uno sviluppo legato
alla produzione di armi che sostiene certi settori dell’economia.
D. – Poi
c’è un dato del tutto evidente: le armi le producono i Paesi “ricchi e sviluppati”
e poi queste armi finiscono nelle “guerre dei poveri”…
R. – L’esperienza è
che, dove non ci sono democrazie affermate, l’accumulo di armi - comprate con tutti
i mezzi legali ed illegali - serve a mantenere piccole élite al potere, che poi non
rispondono certamente al bene comune della loro gente.