Festa a Rovigo per la beatificazione della Serva di Dio Maria Bolognesi
Festa grande oggi nel Polesine. Questa mattina alle 10.30 in Piazza XX Settembre a
Rovigo infatti, sarà beatificata la Serva di Dio Maria Bolognesi, nata nel 1924 e
morta nel 1980 nella città veneta. Donna silenziosa nella carità, ebbe un’infanzia
e una gioventù difficili. Rappresentante del Santo Padre, alla cerimonia, sarà il
card. Angelo Amato, Prefetto della Congregazione per le Cause dei Santi che
al microfono di Roberto Piermarini traccia un profilo della nuova Beata:
R.
- Maria Bolognesi nacque il 21 ottobre 1924, a Bosaro (Rovigo), figlia illegittima
di Amedeo Gozzati e di Giuseppa Samiolo. Il cognome Bolognesi lo ricevette dal patrigno
Giuseppe, sposato dalla madre. Data l'estrema povertà della famiglia, la piccola andò
subito a lavorare nei campi (fu bracciante agricola per 26 anni). Frequentò i primi
due anni di elementari, ma non riuscì a passare in terza, non tanto per mancanza di
intelligenza, quanto piuttosto per la necessità di lavorare e per la denutrizione.
Fin da piccola si consacrò totalmente al Signore e alla Madonna. La vita familiare
era difficile. Il patrigno infatti maltrattava la moglie, perché temeva che lo tradisse.
Da parte sua anche la mamma, nervosa e bestemmiatrice, malmenava i suoi piccoli. Maria
allora fu allontanata e mandata ospite nella canonica di don Sante Magro per svolgere
alcuni lavori domestici. Inizia così un pellegrinaggio faticoso di continui cambiamenti
di residenza, accompagnati sempre da lavori faticosi. Morì d'infarto a Rovigo il 30
gennaio 1980. Le sue spoglie riposano nella Chiesa parrocchiale di Bosaro.
D.
- Come si santificò?
R. - Maria fin da piccola visse l'esperienza della povertà
più nera e dell'emarginazione più umiliante. È commovente leggere questa sua esperienza
di bambina, rifiutata dai suoi coetanei: «Spesso i bambini non mi volevano a giocare
con loro perché ero figlia di N.N.; da sola andavo nell'orto della nonna per vedere
se potevo prendere qualche farfallina. Oh! Se Gesù avesse messo anche a me le alette,
quando i bambini non mi vogliono con loro, volerei via più in fretta». Lavorò moltissimo,
non godette mai degli agi del benessere, patì un lungo elenco di malanni, subì paurose
tentazioni diaboliche. Ma non si diede mai per vinta. In casa era il sostegno dei
grandi e dei piccoli; in campagna zappava, raccoglieva il frumento, le barbabietole,
faceva la legna, lavorava la canapa e talvolta andava anche a pescare. Imparò a confezionare
vestiti, pantofole, scarpette. Per se stessa si cucì un abito speciale, non "mondano".
Non disdegnava neanche le piccole opere di muratura. Dal 1943, per alcune ore al giorno,
raccoglieva i bambini di alcune famiglie povere per permettere ai genitori di recarsi
al lavoro. I suoi molti carismi mistici non le impedirono di spendersi nella carità
verso il prossimo soprattutto verso i bambini, per i quali si fece factotum, calzolaio,
sarta, falegname e anche questuante. Erano frequenti le sue visite ai malati e l'assistenza
notturna ospedaliera. Raccoglieva denaro e generi di prima necessità per le famiglie
indigenti.
- Quale messaggio ci lascia la nuova Beata?
R. - Fu vicina
agli orfani, ai quali trovò buone sistemazioni presso famiglie generose o presso istituti.
La sua carità si estendeva dal corpo allo spirito, diventando saggia consigliera per
chi era nel dubbio, nell'ignoranza, nella tristezza. Aiutava tutti con la preghiera
incessante e con la sofferenza. È questo il messaggio che ella ci lascia oggi.