G20: posizioni distanti sulla necessità di un’azione militare in Siria
La cena di lavoro del G20 a San Pietroburgo dedicata alla crisi siriana non modifica
le posizioni iniziali: Usa e Francia restano convinti della necessita' di un'azione
militare seguita da una soluzione politica. Gli altri paesi, a cominciare dagli europei,
sono invece favorevoli ad un negoziato. In un tweet, il premier Enrico Letta conferma
lo stallo: "E' terminata ora la sessione serale dove si e' certificata la divisione
sulla Siria".
Gli Stati Uniti – ha detto Ben Rhodes, consigliere della Casa
Bianca - sono convinti che “le violazioni delle norme internazionali” da parte del
“regime di Assad” richiedano una risposta militare. Da parte sua, Pechino sottolinea
che “un’azione militare avrebbe un impatto negativo sull’economia globale”. Russia
e Iran ribadiscono, poi, i loro dubbi sulle ragioni, avallate da Washington, in favore
dell’azione militare. Mosca giudica non convincenti le prove americane sull'uso di
armi chimiche da parte del regime di Damasco. Per Teheran l’accusa dell’impiego di
tali armi è solo un pretesto per attaccare la Siria. La Francia, invece, è pronta
ad “un’azione proporzionata”, ma senza truppe sul terreno. La Comunità internazionale
chiede, prima di intervenire, riscontri inconfutabili. Per questo il presidente messicano,
Enrique Pena Nieto, ha chiesto a Barack Obama di aprire un'inchiesta sugli elementi
raccolti dall'intelligence statunitense a sostegno dell'accusa contro il regime siriano.
In Siria, intanto continuano le violenze: scontri si sono verificati a nord
di Damasco in prossimità di un villaggio a maggioranza cristiana. Ma sui motivi che
hanno portato ad un’accelerazione dell’intervento internazionale, Marco Guerra
ha sentito Pietro Batacchi direttore della Rivista Italiana Difesa:
R. - Negli
ultimi mesi - a partire dal gennaio di quest’anno - il regime siriano si è rafforzato
sul terreno. Grazie all’intervento dei guerriglieri libanesi di Hezbollah e l’assistenza
ricevuta dall’Iran, i ribelli hanno iniziato a perdere le posizioni che avevano guadagno
e il cosiddetto equilibrio di potere sul terreno è mutato a vantaggio del regime siriano.
Questo ha innescato una serie di processi: a cominciare dal fatto che gli israeliani
non potevano più tollerare che Hezbollah fosse così pesantemente intervenuta in Siria
e che comunque potesse essere in grado eventualmente di poter accendere un secondo
fronte contro Israele - oltre a quello libanese - anche in Siria; e dall’altra parte
le monarchie arabe del Golfo, cominciando dall’Arabia Saudita e dal Qatar, si sono
rese conto che il regime di Assad doveva essere, in qualche misura, riportato entro
certi confini. Questa serie di processi ha innescato, a prescindere dall’impiego di
armi chimiche, la reazione da parte degli Stati Uniti, della Francia e della coalizione
dei volonterosi che si va costituendo, ma dietro la quale ci sono le monarchie arabe
e Israele.
D. - Alcuni analisti sostengono che in realtà gli Usa non intendono
far cadere Assad, ma indebolire l’asse tra il regime di Damasco, Hezbollah e Iran…
R.
- La risoluzione approvata dalla Commissione Esteri del Senato americano non a caso
parla di “significativi cambiamenti all’equilibrio militare in Siria”. Per cui l’indebolimento
dell’asse tra Iran, Siria ed Hezbollah è uno degli obiettivi dell’intervento americano.
Questo non significa che debba portare alla caduta del regime siriano: significa soltanto
che un certo stato di cose che si è andato consolidando sul terreno negli ultimi mesi,
deve essere cambiato a beneficio di una serie di interessi, che sono essenzialmente
quelli delle monarchie del Golfo e di Israele. Non dimentichiamo il ruolo che le monarchie
del Golfo hanno sempre avuto nel finanziamento e nel supporto del fronte ribelle,
che non ha nulla a che fare con la democraticità e che un domani potremmo trovarci
a dover fronteggiare come esattamente sta succedendo adesso in Libia.
D. -
L’amministrazione americana ha valutato questi rischi?
R. - Credo che un’eventuale
caduta di Assad possa provocare una ripetizione dello scenario libico, ma su scala
ben maggiore e ben peggiore, perché la Siria - per la sua importanza geopolitica come
cerniera del sistema mediorientale - è ben più importante della Libia. Un’eventuale
caduta di Assad, che è sempre stato una sorta di fattore di certezza e di prevedibilità,
sarebbe una sorta di bomba nucleare lanciata sul Medio Oriente.