2013-09-05 19:23:46

G20: posizioni distanti sulla necessità di un’azione militare in Siria


La cena di lavoro del G20 a San Pietroburgo dedicata alla crisi siriana non modifica le posizioni iniziali: Usa e Francia restano convinti della necessita' di un'azione militare seguita da una soluzione politica. Gli altri paesi, a cominciare dagli europei, sono invece favorevoli ad un negoziato. In un tweet, il premier Enrico Letta conferma lo stallo: "E' terminata ora la sessione serale dove si e' certificata la divisione sulla Siria".

Gli Stati Uniti – ha detto Ben Rhodes, consigliere della Casa Bianca - sono convinti che “le violazioni delle norme internazionali” da parte del “regime di Assad” richiedano una risposta militare. Da parte sua, Pechino sottolinea che “un’azione militare avrebbe un impatto negativo sull’economia globale”. Russia e Iran ribadiscono, poi, i loro dubbi sulle ragioni, avallate da Washington, in favore dell’azione militare. Mosca giudica non convincenti le prove americane sull'uso di armi chimiche da parte del regime di Damasco. Per Teheran l’accusa dell’impiego di tali armi è solo un pretesto per attaccare la Siria. La Francia, invece, è pronta ad “un’azione proporzionata”, ma senza truppe sul terreno. La Comunità internazionale chiede, prima di intervenire, riscontri inconfutabili. Per questo il presidente messicano, Enrique Pena Nieto, ha chiesto a Barack Obama di aprire un'inchiesta sugli elementi raccolti dall'intelligence statunitense a sostegno dell'accusa contro il regime siriano.

In Siria, intanto continuano le violenze: scontri si sono verificati a nord di Damasco in prossimità di un villaggio a maggioranza cristiana. Ma sui motivi che hanno portato ad un’accelerazione dell’intervento internazionale, Marco Guerra ha sentito Pietro Batacchi direttore della Rivista Italiana Difesa:RealAudioMP3

R. - Negli ultimi mesi - a partire dal gennaio di quest’anno - il regime siriano si è rafforzato sul terreno. Grazie all’intervento dei guerriglieri libanesi di Hezbollah e l’assistenza ricevuta dall’Iran, i ribelli hanno iniziato a perdere le posizioni che avevano guadagno e il cosiddetto equilibrio di potere sul terreno è mutato a vantaggio del regime siriano. Questo ha innescato una serie di processi: a cominciare dal fatto che gli israeliani non potevano più tollerare che Hezbollah fosse così pesantemente intervenuta in Siria e che comunque potesse essere in grado eventualmente di poter accendere un secondo fronte contro Israele - oltre a quello libanese - anche in Siria; e dall’altra parte le monarchie arabe del Golfo, cominciando dall’Arabia Saudita e dal Qatar, si sono rese conto che il regime di Assad doveva essere, in qualche misura, riportato entro certi confini. Questa serie di processi ha innescato, a prescindere dall’impiego di armi chimiche, la reazione da parte degli Stati Uniti, della Francia e della coalizione dei volonterosi che si va costituendo, ma dietro la quale ci sono le monarchie arabe e Israele.

D. - Alcuni analisti sostengono che in realtà gli Usa non intendono far cadere Assad, ma indebolire l’asse tra il regime di Damasco, Hezbollah e Iran…

R. - La risoluzione approvata dalla Commissione Esteri del Senato americano non a caso parla di “significativi cambiamenti all’equilibrio militare in Siria”. Per cui l’indebolimento dell’asse tra Iran, Siria ed Hezbollah è uno degli obiettivi dell’intervento americano. Questo non significa che debba portare alla caduta del regime siriano: significa soltanto che un certo stato di cose che si è andato consolidando sul terreno negli ultimi mesi, deve essere cambiato a beneficio di una serie di interessi, che sono essenzialmente quelli delle monarchie del Golfo e di Israele. Non dimentichiamo il ruolo che le monarchie del Golfo hanno sempre avuto nel finanziamento e nel supporto del fronte ribelle, che non ha nulla a che fare con la democraticità e che un domani potremmo trovarci a dover fronteggiare come esattamente sta succedendo adesso in Libia.

D. - L’amministrazione americana ha valutato questi rischi?

R. - Credo che un’eventuale caduta di Assad possa provocare una ripetizione dello scenario libico, ma su scala ben maggiore e ben peggiore, perché la Siria - per la sua importanza geopolitica come cerniera del sistema mediorientale - è ben più importante della Libia. Un’eventuale caduta di Assad, che è sempre stato una sorta di fattore di certezza e di prevedibilità, sarebbe una sorta di bomba nucleare lanciata sul Medio Oriente.







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