A Venezia il film di Wajda "Walesa", l'uomo della speranza che diede la libertà alla
Polonia
L’ottantasettenne regista polacco Andrzej Wajda porta fuori concorso alla Mostra
del Cinema di Venezia il suo ultimo film “Wałęsa. Uomo della speranza”, con il quale
affronta un periodo cruciale nella vita di un popolo, una nazione e un uomo, un capitolo
fondamentale nella storia del Novecento. Un’opera diretta con grande tensione e passione,
con ottimi attori tra cui Maria Rosaria Omaggio nei panni della giornalista Oriana
Fallaci, dalla cui intervista il noto Premio Nobel comincia a raccontarsi. Il servizio
di Luca Pellegrini:
Sono tempi della
storia ancora attuali, perché ne viviamo l’eredità politica, sociale e anche spirituale.
In cui la parola chiave è stata e resta: libertà. Parola semplice, ma per realizzarla
sono state sacrificate vite, sono stati compiuti orrori. Per ogni polacco e per ogni
europeo i fatti di Danzica, Solidarność, e tutto ciò che riguarda la figura di Wałęsa,
fanno parte del patrimonio e della memoria. Andrzej Wajda, decano e maestro del cinema,
era consapevole che questo suo film sarebbe stato il soggetto più difficile e delicato
della sua lunga carriera. Ma importante perché si rivolge a tutti, e ci mette a contatto
con la realtà drammatica che visse il suo Paese nel ventennio che inizia con il massacro
di Danzica nel 1970 e termina con la caduta del Muro di Berlino nel 1989. Ed è un
Wałęsa diverso quello che sullo schermo interpreta Robert Więckiewicz: irruento, pragmatico,
decisionista, caparbio, devoto, legatissimo alla famiglia, al suo ambiente operaio,
impermeabile a qualsiasi richiamo o offerta che non fosse il bene del popolo e della
sua Polonia. Abbiamo chiesto al regista se il vero Wałęsa è stato soddisfatto del
film.
R. – Ha visto il film – lo abbiamo guardato insieme – e lo ha guardato
con occhio indulgente. Credo, comunque, che chiunque si veda sullo schermo, vorrebbe
essere chiaramente nella luce più favorevole possibile. Robert Więckiewicz fa la parte
di un personaggio molto caratteristico, anche molto divertente. Forse, Wałęsa si voleva
vedere com’è oggi, ma all’epoca era così.
D. – Giovanni Paolo II e la Chiesa
polacca sono quasi tenuti al margine: se ne sente la forza spirituale e morale, ma
si vedono pochissimo. C’è una ragione?
R. – Non volevo mescolare tutto insieme.
Sono stati fatti già tre film sul Papa, che hanno mostrato il suo ruolo in quella
situazione. Io ho pensato di mostrare maggiormente il segno della Croce fatto dai
Servizi di sicurezza, in una scena del film, quando si vede il Papa alla televisione
inginocchiato, piuttosto che mostrarlo in maniera esplicita.
D. – “Non c’è
libertà senza solidarietà”: è ancora attuale e sentito tra i giovani questo motto
che contraddistinse il Sindacato e le lotte del popolo contro la dittatura comunista?
R.
– Ho fatto apposta questo film: perché durasse questa memoria.