2013-09-01 15:12:13

A Venezia "Philomena", storia vera di una ragazza madre, apre riflessione piu che temute polemiche


Proiettato in concorso alla Mostra del Cinema di Venezia uno dei film più attesi, “Philomena” del regista britannico Stephen Frears, ispirato alla vera storia dell’oggi ottantenne irlandese Philomena Lee. Un remoto tragico passato, un recente perdono, due visioni del mondo e della vita, fede e laicità, una Chiesa sulla strada della purificazione e del dialogo con il mondo moderno. Un film su cui riflettere. Il servizio di Luca Pellegrini.RealAudioMP3

Forse anche nel cinema, così come dimostra il lavoro di alcuni suoi autori più amati, è giunto il momento di disinnescare le polemiche. E’ giusto e storicamente doveroso affrontare le piaghe della Chiesa e tergerle, come accadde alle ferite di chi stava sulla croce, recuperando una memoria che sia di esempio, monito e purificazione per tutti. Stephen Frears, pur nell’indipendenza del suo pensiero e nella ribadita adesione a una ferma laicità - con la quale sempre dialogare nel reciproco rispetto - porta in concorso a Venezia Philomena, riceve tributi e applausi incondizionati, prudentemente anche da parte della stampa cattolica, pur se proprio gli anni post-bellici nella tribolata Irlanda presentavano ancora tanti lati oscuri e tragici, frutto di un passato saldamente ancorato alla tradizione e talvolta non esente, purtroppo, dal fanatismo religioso e dal rigorismo morale. Il film è spirato alla vera storia di Philomena Lee, ragazza madre che viene sottratta al probabile destino di un aborto, inglobata nel convitto di suore tristemente famose per il loro rapporto ben poco cristiano con tante ragazze. Condotte al parto con mezzi sommari, i neonati erano poi strappati alle madri e affidati a ricchi, prevalentemente americani. Accadde così, ma allo scoccare dei cinquant’anni del figlio perduto, la madre decide di mettersi alla sua ricerca, aiutata da un cinico giornalista. In America scoprirà della sua morte in giovane età e poi altre tristi verità, delle quali ferisce soprattutto il suo pervicace e difensivo occultamento da parte delle religiose. Due mondi si fronteggiano, e il più delle volte non si capiscono: quello della donna, ancorato ancora e sempre a une fede semplice e luminosa che rimane il suo inossidabile sostegno; quello dell’uomo, che tra derisione e incredulità ben manifestate, non comprende i percorsi di chi per i suoi aguzzini invoca il perdono. Per Philomena è l’unico, doveroso approdo, perché, come dice agli attoniti suoi interlocutori, “vivere nella rabbia è sfibrante”. Una regia prudente, equilibrata, forte di una sceneggiatura impeccabile, condita di umorismo che stempera il dolore e il possibile orrore, Judi Dench che si conferma come una delle più grandi attrici viventi, un cast che è un vero gioiello. Tutto concorre a fare del film non lo scandalo che forse tanti cercavano per riaprire battaglie che si sperano oggi finalmente fuori moda, ma una compiuta rivisitazione di un difficile momento storico e di un percorso umano e cristiano che brilla di esempio per tanti e che per questo, com’è stato chiesto dagli artisti presenti a Venezia, non si dovrebbe evitare. Con spirito critico e senza paura. Perché oggi i tempi sono maturi.







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