Siria: Usa e Francia pronti all’attacco. Gli ispettori Onu lasciano il Paese
Gli Stati Uniti, dopo il passo indietro di Londra, trovano nella Francia il loro alleato
più stretto per punire "con un'azione limitata" il regime siriano per l'uso di armi
chimiche. Hollande, ieri, ha dato l’ok ad un intervento in Siria, mentre il segretario
di Stato americano Kerry ha fornito i numeri dell’attacco del 21 agosto: 1.400 le
persone uccise coi gas, tra i quali oltre 400 bambini. Assad, da parte sua, parla
di “bugie”. E mentre gli ispettori Onu questa mattina hanno lasciato il Paese, nel
Mediterraneo arriva la sesta nave da guerra americana. Il servizio è di Marina
Calculli:
Gli ispettori
dell’ONU, incaricati di indagare sull’uso di armi chimiche in Siria, sono arrivati
questa mattina presto a Beirut dopo aver lasciato il loro hotel a Damasco, scortati
dalle forze armate libanesi: un mandato che finisce all’indomani di una giornata di
grandi incertezze sul possibile attacco contro la Siria per punire il regime di Bashar,
che ieri il Segretario di Stato Kerry, ha definito “assassino”. Per quanto Obama abbia
ribadito di non aver ancora deciso, l’America sostiene di avere prove sufficienti
per confermare che 1429 persone sono morte in un attacco chimico avvenuto il 21 agosto
nella Ghouta, attorno a Damasco e che tutti gli indizi riconducono alla responsabilità
delle forze leali a Bashar. Kerry ha però anche detto che il paventato attacco potrebbe
essere limitato e servire da avvertimento. La Russia, invece, che difende il regime
di Assad, esulta per la bocciatura del parlamento britannico di una partecipazione
inglese all’intervento internazionale e ha però rimarcato che Mosca difenderà la Siria
da ogni possibile attacco esterno.
La Francia ha assunto una posizione piuttosto
ambigua: prima interventista, poi attendista, ora di nuovo in accelerata con l’annuncio
di Hollande di affiancare gli Stati Uniti in un attacco contro il regime di Assad.
Quali sono gli interessi di Parigi nell’area? Salvatore Sabatino lo ha chiesto
a Stefano Torelli, ricercatore dell’Istituto per gli Studi di Politica Internazionale:
R. – Più che
interessi di breve termine – interessi materiali – nell’area, c’è una volontà di ristabilire
una sorta di status, comunque di influenza sull’area mediorientale, nel momento in
cui gli Stati Uniti sembrano avere una strategia più di disimpegno, nel lungo termine.
D.
– In linea generale, però, si ha l’impressione che nessuno voglia far cadere il regime
siriano ma che questa pressione internazionale sia finalizzata ad un suo indebolimento.
Insomma, i ribelli fanno più paura di Bashar al-Assad?
R. – Sì: sicuramente,
più che i ribelli, tutto ciò che non è noto; quindi, la paura di ciò che potrebbe
venire dopo sicuramente è un fattore che frena l’intervento militare in Siria. Se
guardiamo anche alla reazione dello stesso Israele, che è sulla carta uno dei nemici
storici della Siria, ecco, tutto sommato lo stesso governo israeliano ha di fatto
ammesso – anche ufficialmente – che è meglio convivere con un presidente come Assad
che, per quanto nemico, comunque è un nemico conosciuto, piuttosto che aprire quel
vaso di Pandora che non si sa cosa potrebbe portare.