2013-08-31 08:10:53

Siria: Usa e Francia pronti all’attacco. Gli ispettori Onu lasciano il Paese


Gli Stati Uniti, dopo il passo indietro di Londra, trovano nella Francia il loro alleato più stretto per punire "con un'azione limitata" il regime siriano per l'uso di armi chimiche. Hollande, ieri, ha dato l’ok ad un intervento in Siria, mentre il segretario di Stato americano Kerry ha fornito i numeri dell’attacco del 21 agosto: 1.400 le persone uccise coi gas, tra i quali oltre 400 bambini. Assad, da parte sua, parla di “bugie”. E mentre gli ispettori Onu questa mattina hanno lasciato il Paese, nel Mediterraneo arriva la sesta nave da guerra americana. Il servizio è di Marina Calculli:RealAudioMP3

Gli ispettori dell’ONU, incaricati di indagare sull’uso di armi chimiche in Siria, sono arrivati questa mattina presto a Beirut dopo aver lasciato il loro hotel a Damasco, scortati dalle forze armate libanesi: un mandato che finisce all’indomani di una giornata di grandi incertezze sul possibile attacco contro la Siria per punire il regime di Bashar, che ieri il Segretario di Stato Kerry, ha definito “assassino”. Per quanto Obama abbia ribadito di non aver ancora deciso, l’America sostiene di avere prove sufficienti per confermare che 1429 persone sono morte in un attacco chimico avvenuto il 21 agosto nella Ghouta, attorno a Damasco e che tutti gli indizi riconducono alla responsabilità delle forze leali a Bashar. Kerry ha però anche detto che il paventato attacco potrebbe essere limitato e servire da avvertimento. La Russia, invece, che difende il regime di Assad, esulta per la bocciatura del parlamento britannico di una partecipazione inglese all’intervento internazionale e ha però rimarcato che Mosca difenderà la Siria da ogni possibile attacco esterno.

La Francia ha assunto una posizione piuttosto ambigua: prima interventista, poi attendista, ora di nuovo in accelerata con l’annuncio di Hollande di affiancare gli Stati Uniti in un attacco contro il regime di Assad. Quali sono gli interessi di Parigi nell’area? Salvatore Sabatino lo ha chiesto a Stefano Torelli, ricercatore dell’Istituto per gli Studi di Politica Internazionale: RealAudioMP3

R. – Più che interessi di breve termine – interessi materiali – nell’area, c’è una volontà di ristabilire una sorta di status, comunque di influenza sull’area mediorientale, nel momento in cui gli Stati Uniti sembrano avere una strategia più di disimpegno, nel lungo termine.

D. – In linea generale, però, si ha l’impressione che nessuno voglia far cadere il regime siriano ma che questa pressione internazionale sia finalizzata ad un suo indebolimento. Insomma, i ribelli fanno più paura di Bashar al-Assad?


R. – Sì: sicuramente, più che i ribelli, tutto ciò che non è noto; quindi, la paura di ciò che potrebbe venire dopo sicuramente è un fattore che frena l’intervento militare in Siria. Se guardiamo anche alla reazione dello stesso Israele, che è sulla carta uno dei nemici storici della Siria, ecco, tutto sommato lo stesso governo israeliano ha di fatto ammesso – anche ufficialmente – che è meglio convivere con un presidente come Assad che, per quanto nemico, comunque è un nemico conosciuto, piuttosto che aprire quel vaso di Pandora che non si sa cosa potrebbe portare.







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