2013-08-31 20:26:26

Obama: deciso l'attacco sulla Siria. L'esperto: l'Europa non in grado di sostenere i costi di una guerra


Gli Stati Uniti hanno deciso l’attacco militare alla Siria. Lo ha detto il presidente Obama, precisando che comunque chiederà un voto del Parlamento. Dure le reazioni di Russia e Iran in sostegno del governo siriano. Il servizio di Marina Calculli:RealAudioMP3

Il presidente degli Stati Uniti Barak Obama è pronto a dare l’ordine di attaccare la Siria perché il bombardamento con il gas nervino è stata la più grave violazione dei diritti umani del XXI secolo. Un’azione di cui l’America è certa che il responsabile sia il regime di Asad. Ma il capo della Casa Bianca non lo farà se il Congresso non gli darà l’approvazione. “Non posso dimenticare della nostra storica democrazia” – ha detto Obama, che si è poi augurato che gli eletti lo sostengano in nome della sicurezza nazionale. Un misto di fermezza e pacatezza, dunque, che per un momento soltanto fa tirare il fiato ad un Medio Oriente che si aspettava un attacco immediato. Obama ha comunque ribadito che l’azione potrebbe avvenire in qualsiasi momento, quando gli Stati Uniti lo decideranno pur rimarcando, come aveva già fatto in precedenza, che si tratterà di un attacco limitato nella portata e nel tempo. E’ questo che d’altronde a Damasco si aspetta: oggi il premier siriano al-Halqi ha detto che l’esercito ha “il dito sul grilletto, pronto a qualsiasi scenario”. Ferma resta la critica di Mosca: le accuse al regime sono infondate e insensate, di fronte ad un’America che di fatto ha scelto di non aspettare le evidenze degli ispettori dell’ONU e che è sicura che il responsabile dell’uso del gas nervino sia Asad. E l’Iran, principale alleato di Damasco nella regione, mette in guardia il nemico storico: l’entità sionista e l’Occidente pagheranno un prezzo altissimo.

Ma sui costi di una guerra Salvatore Sabatino ne ha parlato con Carlo Altomonte, docente di Economia Politica presso l’Università Bocconi di Milano:RealAudioMP3

R. – Bisogna distinguere tra Stati Uniti ed Europa. Secondo me, gli Stati Uniti possono sostenere una guerra, perché la situazione americana è migliore, soprattutto perché in questo momento hanno riserve petrolifere tali da garantire una certa autonomia in futuro. Quindi, risentirebbero meno di aumenti del costo del petrolio. L’Europa, secondo me, non è invece in condizione di dichiarare guerra a nessuno.

D. – Forse, anche per questo c’è stato questo passo indietro di Londra e questa posizione altalenante di Parigi…

R. – Sì. In effetti il fronte europeo, come sempre, non è unito, ma in particolare in questo momento Germania e Italia sono sicuramente sulla difensiva, anche perché vedono oggettivamente il costo economico di un intervento che al momento non ha un orizzonte chiaro, né temporale, né soprattutto politico.

D. – Se gli Stati uniti ce la fanno a sostenere un conflitto, perché aleggia su Washington lo spettro dell’Iraq? Ricordiamo che è stato uno dei motivi scatenanti della crisi economica…

R. – Il punto, secondo me, è esclusivamente politico, nel senso che da un punto di vista economico quello che dovrebbe essere un intervento in questo momento – come sempre limitato, pensiamo al caso Libia – è sostenibile. Il punto è politico: abbatti un regime per favorire l’opposizione. In questo momento, la forza di opposizione più forte in Siria, secondo molti analisti, è una fazione riconducibile ad Al Qaeda. Quindi, da un punto di vista politico non è chiaro il do ut des americano. Per cui, secondo me, il tema americano è solo politico non economico in questo momento.

D. – Di fronte a un disimpegno americano a lungo termine in Medio Oriente, l’Europa, in particolare la Francia, sta giocando invece la carta dell’interventismo. Cosa ne verrebbe a guadagnare in termini economici?

R. – Questo, secondo me, è un punto centrale, nel senso che – come dicevo – gli Stati Uniti oggi hanno quantità di riserve di petrolio e gas forse solo secondi all’Arabia Saudita nel mondo. Quindi, di fatto, noi dobbiamo iniziare a entrare nell’ottica di Stati Uniti autonomi sotto il punto di vista della politica energetica e quindi con un graduale disimpegno possibile dal Medio Oriente. Questo lascia evidentemente esposta l’Europa, obbligandola a un ruolo da protagonista nel Mediterraneo. Non sono sicuro che la strada francese – se vogliamo isolata e in qualche modo interventista – sia quella migliore. Auspicherei che, come per le questioni economiche, si inizi ad avere un consenso politico europeo forte e una strategia comune sulla strada della politica estera.

D. – La destabilizzazione dello scacchiere mediorientale ha immediate ripercussioni anche sulle quotazioni del petrolio che, in queste settimane, hanno subito enormi aumenti. Secondo lei, è una conseguenza inevitabile o è pura e mera speculazione da parte dei Paesi produttori?

R. – No, temo che la conseguenza sia abbastanza inevitabile, perché le condizioni dell’offerta petrolifera in questo momento sono abbastanza strette, nel senso che non c’è capacità in eccesso molto ampia. A fronte di una crescita economica sicuramente meno forte che in passato dei Paesi emergenti – ma comunque ancora sostenuta e quindi di domanda dei prodotti petroliferi ancora in crescita – ogni destabilizzazione dello scacchiere mediorientale porta gioco forza a un aumento delle quotazioni ben al di là dei cento dollari al barile. Questa è una cattiva notizia per l’economia mondiale, ripeto, in particolare secondo me per quella europea.







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