2013-08-31 15:14:30

Obama: deciso l'attacco militare. L'analista: Usa capaci di sostenere costi di un attacco, Ue no


Gli Stati Unti hanno deciso l’attacco militare alla Siria. Lo ha detto il presidente Obama. Dure le reazioni di Russia e Iran in sostegno del governo siriano. Il servizio di Marina Calculli:

L'attacco con armi chimiche a Damasco il 21 agosto e' stato il peggiore del XXI secolo, "per questo ho deciso che gli Usa effettueranno un intervento armato limitato in Siria senza truppe sul terreno". Cosi' Barack Obama nella sua dichiarazione sulla Siria alla Casa Bianca. "Mi sto preparando a dare l'ordine", ha aggiunto, precisando che l'attacco potrebbe essere domani, fra una settimana o un mese e sara' limitato nella portata. Il presidente ha annunciato che chiedera' al Congresso il via libera per l'azione milliare contro la Siria, e il voto ci sarà dopo il 9 settembre. Con il no in Consiglio di Sicurezza di Cina, Russia, cui si è aggiunta la Gran Bretagna dopo la bocciatura del parlamento nazionale, America e Francia avvieranno un binomio unilaterale. Si svincolano invece Germania e Italia per cui impossibile un’azione senza il beneplacito dell’ONU. Durissima la reazione di Mosca: le accuse al regime sono infondate e insensate. Obama pensi a quanti nuovi morti provocherà. Anche l’Iran, il principale alleato di Assad nella regione mette in guardia il nemico storico: l’entità sionista e l’Occidente pagheranno un prezzo altissimo. Obama certo parla di “attacco limitato” ma intanto in Medio Oriente l’opinione comune è che il paventato intervento incendierà la regione.

Ma sui costi di una guerra Salvatore Sabatino ne ha parlato con Carlo Altomonte, docente di Economia Politica presso l’Università Bocconi di Milano:RealAudioMP3

R. – Bisogna distinguere tra Stati Uniti ed Europa. Secondo me, gli Stati Uniti possono sostenere una guerra, perché la situazione americana è migliore, soprattutto perché in questo momento hanno riserve petrolifere tali da garantire una certa autonomia in futuro. Quindi, risentirebbero meno di aumenti del costo del petrolio. L’Europa, secondo me, non è invece in condizione di dichiarare guerra a nessuno.

D. – Forse, anche per questo c’è stato questo passo indietro di Londra e questa posizione altalenante di Parigi…

R. – Sì. In effetti il fronte europeo, come sempre, non è unito, ma in particolare in questo momento Germania e Italia sono sicuramente sulla difensiva, anche perché vedono oggettivamente il costo economico di un intervento che al momento non ha un orizzonte chiaro, né temporale, né soprattutto politico.

D. – Se gli Stati uniti ce la fanno a sostenere un conflitto, perché aleggia su Washington lo spettro dell’Iraq? Ricordiamo che è stato uno dei motivi scatenanti della crisi economica…

R. – Il punto, secondo me, è esclusivamente politico, nel senso che da un punto di vista economico quello che dovrebbe essere un intervento in questo momento – come sempre limitato, pensiamo al caso Libia – è sostenibile. Il punto è politico: abbatti un regime per favorire l’opposizione. In questo momento, la forza di opposizione più forte in Siria, secondo molti analisti, è una fazione riconducibile ad Al Qaeda. Quindi, da un punto di vista politico non è chiaro il do ut des americano. Per cui, secondo me, il tema americano è solo politico non economico in questo momento.

D. – Di fronte a un disimpegno americano a lungo termine in Medio Oriente, l’Europa, in particolare la Francia, sta giocando invece la carta dell’interventismo. Cosa ne verrebbe a guadagnare in termini economici?

R. – Questo, secondo me, è un punto centrale, nel senso che – come dicevo – gli Stati Uniti oggi hanno quantità di riserve di petrolio e gas forse solo secondi all’Arabia Saudita nel mondo. Quindi, di fatto, noi dobbiamo iniziare a entrare nell’ottica di Stati Uniti autonomi sotto il punto di vista della politica energetica e quindi con un graduale disimpegno possibile dal Medio Oriente. Questo lascia evidentemente esposta l’Europa, obbligandola a un ruolo da protagonista nel Mediterraneo. Non sono sicuro che la strada francese – se vogliamo isolata e in qualche modo interventista – sia quella migliore. Auspicherei che, come per le questioni economiche, si inizi ad avere un consenso politico europeo forte e una strategia comune sulla strada della politica estera.

D. – La destabilizzazione dello scacchiere mediorientale ha immediate ripercussioni anche sulle quotazioni del petrolio che, in queste settimane, hanno subito enormi aumenti. Secondo lei, è una conseguenza inevitabile o è pura e mera speculazione da parte dei Paesi produttori?

R. – No, temo che la conseguenza sia abbastanza inevitabile, perché le condizioni dell’offerta petrolifera in questo momento sono abbastanza strette, nel senso che non c’è capacità in eccesso molto ampia. A fronte di una crescita economica sicuramente meno forte che in passato dei Paesi emergenti – ma comunque ancora sostenuta e quindi di domanda dei prodotti petroliferi ancora in crescita – ogni destabilizzazione dello scacchiere mediorientale porta gioco forza a un aumento delle quotazioni ben al di là dei cento dollari al barile. Questa è una cattiva notizia per l’economia mondiale, ripeto, in particolare secondo me per quella europea.







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