Siria: gli Usa alla ricerca di alleati dopo il passo indietro di Londra. Francia pronta
a intervenire
Dopo il no del Parlamento britannico all’intervento militare in Siria, gli Stati Uniti
sono rimasti soli e alla ricerca di una coalizione internazionale per rispondere al
presunto attacco con armi chimiche del regime di Damasco contro i civili. Intanto
ancora orrore nel Paese: una scuola sarebbe stata colpita con una bomba al Napalm.
Il servizio è di Salvatore Sabatino:
Londra dice
no ad un intervento militare in Siria, ma ad affiancare Washington ci potrebbe essere
la Francia; il presidente Hollande questa mattina ha ribadito che Parigi è pronta
a partecipare ad un'eventuale azione armata, precisando tuttavia che non si muoverà
senza un'adeguata base giuridica che giustifichi l'intervento. Resta, invece, il no
netto della Russia, con l’annuncio che la questione siriana sarà discussa anche a
margine del G20, in programma a San Pietroburgo la prossima settimana. La Germania,
infine, non prenderà parte a un attacco militare contro la Siria. Lo ha ribadito questa
mattina il ministro degli Esteri tedesco, Guido Westerwelle. Intanto sulla Siria aleggia
lo spettro di altre armi non convenzionali. Negli ultimi giorni sarebbero stati condotti
bombardamenti con il Napalm. La BBC ha mostrato le immagini di alcuni bambini con
ferite simili a quelle provocate da questa sostanza altamente infiammabile in Vietnam.
La
Camera dei Comuni di Londra ''ha parlato per il popolo britannico''. A sostenerlo
è il leader laburista Ed Miliband che ha di fatto guidato l'opposizione alla mozione
di governo su un intervento in Siria, bocciata in aula.”La gente è profondamente preoccupata
per l'uso di armi chimiche in Siria – ha aggiunto – ma vuole che si impari la lezione
dell'Iraq; non vuole entrare precipitosamente in una guerra”. Salvatore Sabatino
ha chiesto a Stefano Torelli, ricercatore dell’Istituto per gli Studi di Politica
Internazionale, quali sono i reali motivi che hanno portato Londra ad un cambio di
rotta così repentino:
R. – Innanzitutto,
direi motivazioni interne: nel senso che il primo ministro Cameron, evidentemente
ancora non aveva fatto bene i conti con il proprio Parlamento. In Gran Bretagna qualsiasi
azione militare, come in altri Paesi, deve passare per l’approvazione del Parlamento
e la votazione contro la proposta di Cameron ha sicuramente costituito un freno per
Londra.
D. – La Francia, invece, ha assunto una posizione piuttosto ambigua:
prima interventista, poi attendista, ora di nuovo in accelerata con l’annuncio di
Hollande di un intervento entro mercoledì. Quali sono gli interessi di Parigi, nell’area?
R.
– Per la Francia vale, in realtà, in parte lo stesso discorso della Gran Bretagna:
forse, più che interessi di breve termine – interessi materiali – nell’area, c’è una
volontà di ristabilire una sorta di status, comunque di influenza sull’area
mediorientale, nel momento in cui gli Stati Uniti sembrano avere una strategia più
di disimpegno, nel lungo termine.
D. – Washington, invece, a questo punto dovrà
fronteggiare il ‘no’ di Russia e Cina pronti a dare battaglia in Consiglio di Sicurezza
dell’Onu. Una situazione, dunque, tesissima anche per le relazioni economiche tra
queste tre superpotenze …
R. – Sì … diciamo che sul caso Siria, più che quella
della Cina, pesa soprattutto la posizione della Russia e questo va ad aggiungere tensioni,
o comunque attriti, al rapporto bilaterale Stati Uniti – Russia, dopo che già nelle
settimane scorse il caso Snowden aveva acceso nuove divergenze tra le due potenze.
Questo ennesimo scontro tra Washington e Mosca sulla questione della Siria rischia
di allontanare ancora di più le posizioni dei due Paesi.
D. – Sempre sul fronte
russo, in molti ritengono che Mosca abbia in qualche modo “scaricato” Assad: è davvero
così?
R. – No. In realtà, non sembrerebbe. Non vi sono, in realtà, segnali
che lascino intendere un abbandono di Assad da parte di Mosca. Alcune fonti di intelligence
hanno riportato che durante un incontro con ufficiali dell’Arabia Saudita, questi
avrebbero tentato di negoziare con la Russia in cambio di interessi petroliferi, un
eventuale abbandono di Assad. Ma per il momento, Putin sembra aver rifiutato questa
opzione.
D. – In linea generale, però, si ha l’impressione che nessuno voglia
far cadere il regime siriano ma che questa pressione internazionale sia finalizzata
ad un suo indebolimento. Insomma, i ribelli fanno più paura di Bashar al-Assad?
R.
– Sì: sicuramente, più che i ribelli, tutto ciò che non è noto; quindi, la paura di
ciò che potrebbe venire dopo sicuramente è un fattore che frena l’intervento militare
in Siria. Se guardiamo anche alla reazione dello stesso Israele, che è sulla carta
uno dei nemici storici della Siria, ecco, tutto sommato lo stesso governo israeliano
ha di fatto ammesso – anche ufficialmente – che è meglio convivere con un presidente
come Assad che, per quanto nemico, comunque è un nemico conosciuto, piuttosto che
aprire quel vaso di Pandora che non si sa cosa potrebbe portare.