Siria: la Comunità internazionale prende tempo su intervento armato. Assad: vinceremo
lo scontro
Crisi siriana: la Comunità internazionale prende tempo sul possibile intervento armato
nel Paese. Russia, Cina e Iran contrarie all’aggressione. La Francia non vede chiusa
la porta diplomatica mentre gli Stati Uniti, per ora, non hanno una posizione definitiva.
E mentre gli ispettori Onu stanno accertando se siano state usate armi chimiche nei
pressi di Damasco, il presidente Assad ribadisce: "Il Paese uscirà vittorioso dallo
scontro storico". Il servizio di Massimiliano Menichetti:
Diplomazie internazionali
in fibrillazione per il possibile e imminente intervento militare in Siria. Pechino,
Mosca e Teheran si dicono assolutamente contrarie ad azioni di forza, anche se condannano
categoricamente l’utilizzo di armi chimiche, quelle che sarebbero state usate il 21
agosto scorso nei pressi di Damasco. Gli ispettori dell’Onu, che sabato lasceranno
il Paese, hanno il compito di capire se ad uccidere oltre 1300 persone siano stati
proprio i gas letali, poi verrà la questione sulle eventuali responsabilità da parte
del regime di Assad. Per la Francia, favorevole all’intervento armato, è ancora possibile
la via diplomatica e l’Italia non darà basi militari se non sotto l’egida dell’Onu.
Solo ieri Russia e Cina hanno bocciato in Consiglio di Sicurezza la bozza di risoluzione
presentata da Londra e Parigi che le avrebbe autorizzate a prendere “misure necessarie”
per proteggere i civili siriani, in riferimento al capitolo 7 della Carta delle Nazioni
Unite. Intanto, lo Sato di Israele si dice estraneo alla guerra civile, ma pronto
a rispondere ad eventuali attacchi. Dalla Siria però il presidente Assad tuona: “Il
Paese uscirà vittorioso dallo scontro storico”, mentre sei aerei da caccia britannici,
per precauzione, dice il ministero della Difesa di Londra, sono stati dispiegati a
Cipro e una nave lanciamissili statunitense ha attraversato il canale di Suez, diretta
verso le coste siriane.
Ma quando è possibile un intervento armato sotto
egida Onu? Massimiliano Menichetti lo ha chiesto a Luisa Vierucci ricercatrice
presso il Dipartimento di scienze giuridiche all’università di Firenze:
R. - Un intervento
militare sotto l’egida delle Nazioni Uniti è possibile solo qualora ricorrano i presupposti
previsti nel noto Capitolo 7 della Carta delle Nazioni Unite: quindi, in particolare,
quando siamo in presenza di un atto di aggressione o di una minaccia alla pace. In
questo caso l’organo supremo delle Nazioni Unite - quindi il Consiglio di sicurezza
- ha il potere di adottare una Risoluzione con la quale o decide di intervenire direttamente
con i propri mezzi militari contro lo Stato, oppure autorizza altri Stati a porre
in essere un’azione di natura militare.
D. - Quando parliamo di minaccia alla
pace, parliamo solo di una minaccia alla pace internazionale, o si guarda anche la
realtà interna di un Paese?
R. - La prassi internazionale, dal momento dell’adozione
della Carta delle Nazioni Unite e cioè dal ’45 ad oggi, ha subito una grossa evoluzione:
se nel ’45 per minaccia alla pace si intendeva solo la minaccia alla pace internazionale
ad oggi non vi è dubbio che anche situazioni di minaccia alla pace interna - e con
questo “interno” intendo gravi violazioni dei diritti umani che siano compiuti all’interno
di un singolo Paese - si possano qualificare come minaccia alla pace, tali da consentire
l’intervento del Consiglio di sicurezza.
D. - In questo senso dunque l’aspetto
umanitario viene preso in considerazione?
R. – Certamente qui abbiamo un precedente
molto recente: l’intervento in Libia - quello del marzo del 2011 - in cui le Nazioni
Unite, sempre il Consiglio di sicurezza, avendo riscontrato violazioni gravissime
e ripetute dei diritti umani, ha adottato una Risoluzione con la quale ha autorizzato
alcuni Stati - gli "Stati volenterosi" - ad intervenire a tutela della popolazione
civile contro i gravi abusi che stava subendo.
D. - Francia e Gran Bretagna
hanno presentato una bozza di Risoluzione per un intervento armato che, di fatto,
è stato bocciato: il riferimento è sempre al Capitolo 7 della Carta dell’Onu, ovvero
quello che ribadisce “L’azione rispetto alle minacce alla pace, alle violazioni della
pace e agli atti di aggressione”. Perché questo riferimento, secondo lei, e perché
questa decisione?
R. - Questa decisione, secondo me, non è giustificabile in
punto di diritto. Come dicevo sono numerosi i precedenti simili a quelli dell’attuale
situazione siriana, in cui si stavano quindi compiendo gravi violazioni dei diritti
umani e in cui una situazione simile a quella siriana è stata definita come minaccia
alla pace dal Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite. Il fatto che ad oggi, invece,
la situazione siriana non venga qualificata da alcuni Stati come “minaccia alla pace”
è basata su valutazioni di natura politica e non di natura giuridica.
D. -
Dal punto di vista sempre del diritto internazionale, come valutare invece un intervento
unilaterale o di alcuni Stati in questa crisi?
R. - Un intervento senza egida
Onu sarebbe legittimo solamente qualora si basasse sulla legittima difesa, ma la legittima
difesa è esperibile solo qualora ci sia una aggressione armata di uno Stato contro
un altro Stato: un esempio è l’invasione del Kuwait da parte dell’Iraq nel 1990. Non
è sicuramente questo il caso siriano ad oggi. Un intervento unilaterale - cioè senza
egida Onu - sarebbe sicuramente illegittimo dal punto di vista del diritto internazionale.
D.
- Eppure la storia - anche recente - ci racconta molti episodi di questo tipo e cioè
di attacchi unilaterali: il caso iracheno, soltanto per fare un esempio…
R.
- Direi che i precedenti più recenti sono il caso del Kosovo, dove c’è stata una legittimazione
del Consiglio di Sicurezza ex-post; e il caso, appunto, iracheno. Ma non è che la
violazione del diritto porta, a lungo andare, ad una legittimazione di certe azioni.
Quindi direi che ad oggi i due precedenti del Kosovo e dell’Iraq, sono rimasti non
solo isolati, ma talmente criticati da molti Stati e anche - devo dire - dalla dottrina
giuridica, per cui non si può parlare della creazione o dello svilupparsi di una norma
che legittima l’intervento unilaterale, senza quindi alcuna autorizzazione da parte
del Consiglio di sicurezza, anche in caso di gravi violazioni dei diritti umani.