2013-08-29 14:26:31

Colombia: sì della Corte Costituzionale all’ingresso in politica dei guerriglieri che depongono le armi


In Colombia la Corte Costituzionale ha autorizzato una riforma della Costituzione che permette l’ingresso in politica dei guerriglieri che avranno deposto le armi al termine del processo di pace. “Un passo importante per tutto il Paese” ha commentato il presidente Juan Manuel Santos che si è detto anche pronto ad iniziare negoziati con l’Esercito di liberazione nazionale (Eln), il secondo più importante movimento di guerriglia dopo le Farc, le Forze armate rivoluzionarie della Colombia. Sulla portata di questa decisione della Corte, Cecilia Seppia ha raccolto il commento Niccolò Locatelli, esperto di America Latina per la rivista di Geopolitica Limes:RealAudioMP3

R. - Si tratta di una vittoria per il governo. È una legge che è stata molto contestata dalle organizzazioni dei diritti umani e anche da una certa parte della magistratura, perché potenzialmente lascia aperta la strada all’impunità, alla non persecuzione di crimini come per esempio il genocidio. Però, è fondamentale nell’ottica, almeno questa è l’idea del governo, della ricerca di un compromesso, di una pace, per arrivare alla fine delle violenze. Ricordiamo che il conflitto in Colombia dura dal 1948, ancor prima della costituzione delle Farc e ha provocato migliaia di vittime, anche civili. É chiaro che un compromesso, per quanto doloroso, è necessario.

D. - Tra l’altro, la Consulta ha precisato che l’emendamento intitolato “Inquadramento giuridico per la pace” era già stato approvato dal Congresso nel 2012. Poi, ovviamente, questi continui stop ai negoziati tra governo e Farc ne avevano in qualche modo impedito l’attuazione. A che punto siamo sul fronte dei colloqui e quali attori internazionali stanno intervenendo?

R. - La speranza del presidente Santos e del governo è quella di chiudere entro l’anno, o comunque entro l’anno prossimo, perché ci sono poi nuove elezioni presidenziali nel 2014. Nei colloqui che sono ripresi – che tra l’altro, hanno avuto una brevissima pausa la settimana scorsa, ma sono appena ripresi - emerge con chiarezza come la posizione forte sia proprio quella del governo di Bogotà. Le Farc sono arrivate a queste trattative estremamente indebolite più che da Santos, dalla politica del suo predecessore, il presidente Uribe, che ha praticamente decimato anche l’apparato militare di questa guerriglia. Per quanto riguarda l’aspetto internazionale, è interessante sottolineare quello che è accaduto nel novembre 2012, quando hanno aperto questo tavolo di trattative e due Stati hanno avuto un ruolo più importante di altri. Malgrado infatti le trattative siano ufficialmente iniziate in Norvegia, queste stanno procedendo a Cuba, con l’accompagnamento oltre che del Cile, soprattutto del Venezuela. Il governo venezuelano ha facilitato l’inizio di questa trattativa proprio per segnalare non soltanto il riavvicinamento alla Colombia di Santos, ma anche il suo passaggio da una fase se vogliamo anti-sistema - tutti ricordiamo Chavez per le sue invettive contro gli Stati Uniti e per i suoi progetti anti-egemonici nell’area – ad una fase più costruttiva per cercare una partnership con gli altri Stati dell’area.

D. - Colloqui di pace, probabile ricandidatura del presidente Santos, ma anche le manifestazioni e gli scioperi di questi giorni. C’è un filo rosso tra questi elementi?

R. - Sicuramente c’è un filo rosso tra il tentativo di Santos di chiudere in tempi rapidi, le presidenziali dell’anno prossimo e la volontà di ricandidarsi – come appare scontato – alle elezioni come presidente della pace. Le manifestazioni di questi giorni che hanno coinvolto principalmente il settore agrario, quindi la parte extraurbana della Colombia, dimostrano che però, al di là della questione dei colloqui di pace con le Farc, ci sono una serie di dossier aperti sul piano sociale ed economico che evidentemente lo stesso Santos non è stato in grado di affrontare o, se li ha affrontati, non ha saputo dare una risposta soddisfacente.

D. - Altro punto l’apertura dei negoziati con l’Esercito di liberazione nazionale (Eln). La condizione imposta dal presidente Santos era la liberazione di Jernoc Wobert, l’ingegnere canadese rapito a gennaio, il cui rilascio è avvenuto ieri. Quindi, si continua un po’ con la politica del do ut des

R. - Sì. In realtà il governo colombiano ha detto che i negoziati non possono iniziare prima della liberazione completa di tutti gli ostaggi attualmente detenuti dall’Eln. Quindi, sicuramente, la mossa che riguarda l’ingegnere canadese è stato un gesto di buona volontà. D’altra parte, è vero che si può ipotizzare che il raggiungimento di un accordo con le Farc sarà seguito, a distanza non troppo lunga, da un accordo simile con quest’altra guerriglia.







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