Colombia: sì della Corte Costituzionale all’ingresso in politica dei guerriglieri
che depongono le armi
In Colombia la Corte Costituzionale ha autorizzato una riforma della Costituzione
che permette l’ingresso in politica dei guerriglieri che avranno deposto le armi al
termine del processo di pace. “Un passo importante per tutto il Paese” ha commentato
il presidente Juan Manuel Santos che si è detto anche pronto ad iniziare negoziati
con l’Esercito di liberazione nazionale (Eln), il secondo più importante movimento
di guerriglia dopo le Farc, le Forze armate rivoluzionarie della Colombia. Sulla portata
di questa decisione della Corte, Cecilia Seppia ha raccolto il commento Niccolò
Locatelli, esperto di America Latina per la rivista di Geopolitica Limes:
R. - Si tratta
di una vittoria per il governo. È una legge che è stata molto contestata dalle organizzazioni
dei diritti umani e anche da una certa parte della magistratura, perché potenzialmente
lascia aperta la strada all’impunità, alla non persecuzione di crimini come per esempio
il genocidio. Però, è fondamentale nell’ottica, almeno questa è l’idea del governo,
della ricerca di un compromesso, di una pace, per arrivare alla fine delle violenze.
Ricordiamo che il conflitto in Colombia dura dal 1948, ancor prima della costituzione
delle Farc e ha provocato migliaia di vittime, anche civili. É chiaro che un compromesso,
per quanto doloroso, è necessario.
D. - Tra l’altro, la Consulta ha precisato
che l’emendamento intitolato “Inquadramento giuridico per la pace” era già stato approvato
dal Congresso nel 2012. Poi, ovviamente, questi continui stop ai negoziati tra governo
e Farc ne avevano in qualche modo impedito l’attuazione. A che punto siamo sul fronte
dei colloqui e quali attori internazionali stanno intervenendo?
R. - La speranza
del presidente Santos e del governo è quella di chiudere entro l’anno, o comunque
entro l’anno prossimo, perché ci sono poi nuove elezioni presidenziali nel 2014. Nei
colloqui che sono ripresi – che tra l’altro, hanno avuto una brevissima pausa la settimana
scorsa, ma sono appena ripresi - emerge con chiarezza come la posizione forte sia
proprio quella del governo di Bogotà. Le Farc sono arrivate a queste trattative estremamente
indebolite più che da Santos, dalla politica del suo predecessore, il presidente Uribe,
che ha praticamente decimato anche l’apparato militare di questa guerriglia. Per quanto
riguarda l’aspetto internazionale, è interessante sottolineare quello che è accaduto
nel novembre 2012, quando hanno aperto questo tavolo di trattative e due Stati hanno
avuto un ruolo più importante di altri. Malgrado infatti le trattative siano ufficialmente
iniziate in Norvegia, queste stanno procedendo a Cuba, con l’accompagnamento oltre
che del Cile, soprattutto del Venezuela. Il governo venezuelano ha facilitato l’inizio
di questa trattativa proprio per segnalare non soltanto il riavvicinamento alla Colombia
di Santos, ma anche il suo passaggio da una fase se vogliamo anti-sistema - tutti
ricordiamo Chavez per le sue invettive contro gli Stati Uniti e per i suoi progetti
anti-egemonici nell’area – ad una fase più costruttiva per cercare una partnership
con gli altri Stati dell’area.
D. - Colloqui di pace, probabile ricandidatura
del presidente Santos, ma anche le manifestazioni e gli scioperi di questi giorni.
C’è un filo rosso tra questi elementi?
R. - Sicuramente c’è un filo rosso tra
il tentativo di Santos di chiudere in tempi rapidi, le presidenziali dell’anno prossimo
e la volontà di ricandidarsi – come appare scontato – alle elezioni come presidente
della pace. Le manifestazioni di questi giorni che hanno coinvolto principalmente
il settore agrario, quindi la parte extraurbana della Colombia, dimostrano che però,
al di là della questione dei colloqui di pace con le Farc, ci sono una serie di dossier
aperti sul piano sociale ed economico che evidentemente lo stesso Santos non è stato
in grado di affrontare o, se li ha affrontati, non ha saputo dare una risposta soddisfacente.
D.
- Altro punto l’apertura dei negoziati con l’Esercito di liberazione nazionale (Eln).
La condizione imposta dal presidente Santos era la liberazione di Jernoc Wobert, l’ingegnere
canadese rapito a gennaio, il cui rilascio è avvenuto ieri. Quindi, si continua un
po’ con la politica del do ut des …
R. - Sì. In realtà il governo colombiano
ha detto che i negoziati non possono iniziare prima della liberazione completa di
tutti gli ostaggi attualmente detenuti dall’Eln. Quindi, sicuramente, la mossa che
riguarda l’ingegnere canadese è stato un gesto di buona volontà. D’altra parte, è
vero che si può ipotizzare che il raggiungimento di un accordo con le Farc sarà seguito,
a distanza non troppo lunga, da un accordo simile con quest’altra guerriglia.