Al Festival delle Nazioni, l'omaggio della musica all'Europa unita
Non più un solo Paese a cui rendere omaggio con la musica, ma un intero continente,
l’Europa. E’ la sfida quest’anno del Festival delle Nazioni giunto alla 46esima edizione
a Città di Castello.“Vogliamo mostrare quanto la musica abbia contribuito a creare
un’identità culturale condivisa”, spiega il direttore artistico Aldo Sisillo. Tredici
i concerti in cartellone fino al 7 settembre: apertura e chiusura dedicate a Verdi
e a Wagner a duecento anni dalla loro nascita. Il servizio di Gabriella Ceraso:
In un momento
in cui frequenti sono i segnali di incomprensione o disaffezione all’idea di un’Europa
intesa come entità politica unitaria, il Festival con un excursus che va dalla prima
metà del 500 ai giorni nostri, mostra quanto davvero l’Europa sia unita culturalmente.
Scambi e circolazione di idee e di pratiche musicali hanno dato frutti indelebili.
I primi a varcare i confini degli Stati e delle lingue nel '500 furono i musicisti
fiamminghi come Orlando di Lasso in programma al festival. Il direttore artistico,
Aldo Sisillo:
“Orlando di Lasso è stato a Venezia, a Roma, ha lavorato
in tutta Europa, utilizzando forme e utilizzando lingue di tutta Europa: dal bergamasco
al tedesco al napoletano”.
Nei secoli successivi diventa consuetudine sostare
a lungo all’estero, conoscere e assorbire idee musicali e culturali nuove. Pensiamo
a Cimarosa, Paisiello, Salieri. Il Festival dà conto dell’impronta di Vivaldi su Bach
e dello stile compositivo di Haendel:
“Un musicista tedesco, che ha passato
la maggior parte della sua vita a Londra, ma che scriveva in stile italiano”.
Altro
raffinato esempio di influenze culturali è la serata del 6 settembre, dedicata alla
scuola pianistica napoletana:
“Scuola che ha tirato fuori pianisti come
Maria Tipo, Michele Campanella e la stessa Martha Argerich che ha studiato con un
napoletano, emigrato in Argentina. E’ un sincretismo fra la scuola pianistica tedesca
e la scuola napoletana, con questo Thalberg, che aveva vissuto gli ultimi anni a Napoli,
a Posillipo, e aveva dato lezioni ai giovani musicisti napoletani, e che aveva influenzato
Cesi, Martucci. In un periodo in cui si parlava - fine ‘800 - solo di melodramma,
in Italia, lui portò l’amore per Brahms, Schubert, Wagner e tutta la musica tedesca.
Bologna, dove furono eseguite molte prime di opere wagneriane, divenne la Bologna
wagneriana in contrasto con la Milano verdiana, grazie a Martucci, compositore didatta
napoletano, che diventò direttore del Conservatorio di Bologna e portò questo amore
per la musica tedesca in città”.
Si arriva così al Novecento, all’influenza
di Nyman su Sollima e a Luciano Berio, esploratore di fonti di ispirazione senza preclusioni,
cui il Festival dedica un progetto particolare. L’integrazione culturale dunque anticipa
quella politica, un errore non parlarne. Ancora il direttore artistico, Aldo Sisillo:
“In
questa Europa, così com’è stata fatta, probabilmente si è schiacciato troppo l’acceleratore
sui temi economici. Vale la pena, invece, di lavorare di più sull’unità culturale
e sul fatto di stimolare la reciproca conoscenza. Partendo proprio dalle arti e dalla
cultura, forse, possiamo riprendere e rinfocolare la costruzione di un’identità condivisa”.