I colloqui israelo-palestinesi continuano: nessuno stop dopo il raid in Cisgiordania
I colloqui di pace tra israeliani e palestinesi proseguono: è quanto ribadisce il
Dipartimento di Stato Usa, smentendo così informazioni di stampa secondo cui sarebbero
stati sospesi, lunedì, dopo i disordini nel campo profughi di Qalandia in Cisgiordania.
Precisamente le forze israeliane hanno ucciso tre palestinesi in seguito a accese
manifestazioni alle quali la polizia israeliana ha risposto con un raid. Della gravità
dell’accaduto e delle concrete possibilità di dialogo tra israeliani e palestinesi,
Fausta Speranza ha parlato con l’esperta di questioni mediorientali, Marcella
Emiliani:
R. - Finora
episodi come questi non hanno impedito il proseguimento dei negoziati. Diciamo che
Israele è, purtroppo, abituata ad avere questo tipo di attacchi. Certo, venivano da
Gaza; ora, se cominciano a manifestarsi anche dalla Cisgiordania, la questione si
aggrava di molto.
D. - Che cosa sappiamo di questi negoziati, perché c’è molta
discrezione …
R. - Entrambi i contendenti, Netanyahu e Abu Mazen, sono arrivati
al tavolo dei negoziati spinti praticamente dal segretario di Stato americano, Kerry.
I termini sono sempre gli stessi: i palestinesi finora hanno detto - e continuano
a dire - che non arriveranno a nessun tipo di accordo con Israele, se prima Israele
non sospende la costruzione delle colonie in Cisgiordania. Il governo di Netanyahu,
dal canto suo, nemmeno nel momento in cui siede al tavolo dei negoziati con i palestinesi
di Cisgiordania sospende la costruzione delle colonie. Quindi, diciamo che siamo in
una situazione di stallo dove l’unica cosa positiva è stata quella di tornare formalmente
ad un tavolo dei negoziati. Poi, entrambi i contendenti in questo momento hanno preoccupazioni
ben più pressanti: i palestinesi che rischiano sempre di più un isolamento regionale
ed internazionale, Israele che deve tenere a bada tutto quello che accade in Egitto,
prima che dal Sinai arrivino minacce consistenti, per non parlare poi della minaccia
che arriva dalla Siria e dal Libano, dove sta tracimando la guerra civile. Per quanto
riguarda la Siria, abbiamo visto quello che è successo con gli attacchi addirittura
con i gas nervini … Per ora l’impasse americana non sa che fare e come rispondere.
Quindi diciamo che siamo in una situazione difficilissima...
D. - Paradossalmente
potrebbe essere il momento in cui le parti decidono di venirsi incontro?
R.
- Paradossalmente sì. Però con l’attuale governo israeliano non c’è la minima speranza
- per lo meno finora - che Israele sospenda la costruzione delle colonie. Quindi,
il punto cruciale è questo! Se continua così, rimarranno pochissimi metri quadri -
eventualmente - da restituire ai palestinesi. Quello che potrebbe essere restituito
come territorio, praticamente diminuisce di giorno in giorno.
D. - Ma potrebbero
esserci altre questioni da cui partire per un negoziato - anche un po’ diverso -
da quello che si immaginava tempo fa?
R. - Nello stesso campo palestinese -
parlo dei palestinesi di Abu Mazen, non di quelli di Hamas, di Gaza - si stanno facendo
avanti delle opzioni basate soprattutto su accordi economici precisi tra i palestinesi
di Cisgiordania e Israele per arrivare non tanto ad una spartizione di territorio
- che ormai è qualcosa di estremamente virtuale -, quanto piuttosto ad una non dichiarata,
ma reale integrazione, in modo che i palestinesi si possano inserire nella più dinamica
economia israeliana. Tutto questo per portare avanti la "scommessa" che in Medio Oriente
è stata fatta molte volte: passare attraverso un maggior livello di benessere economico,
per abbassare le rivendicazioni di tipo nazionalista. Questo però, lascia fuori -
e lo lascerebbe poi comunque, perché anche negli attuali negoziati in corso non se
ne parla e non ne parla nessuno - il futuro dei profughi, cioè di coloro che sono
sparsi per tutto il Medio Oriente. Sono milioni, confinati dentro campi che stanno
diventando tra l’altro - come abbiamo visto soprattutto in Libano e in Siria -, territori
di scontri tra sunniti e sciiti, fazioni estremiste e quant’altro. Per cui, comunque
la si giri, la situazione rimane estremamente complessa, complicata ed intricata e
a livello regionale ed internazionale si procede per priorità macroscopiche: in questo
caso il vecchio processo di pace israelo-palestinese allo stato attuale delle cose
purtroppo interessa a pochissime persone.