2013-08-27 13:57:04

Giordania, delegazione della Caritas Italiana nei campi profughi: 1 milione e 300 mila i siriani


In questi giorni è giunta in Giordania una delegazione della Caritas italiana per valutare i bisogni nei campi profughi, che ospitano oltre un milione di siriani. La missione proseguirà fino al 30 agosto toccando anche Gerusalemme e la Cisgiordania per coordinare gli interventi umanitari nella complessa realtà mediorientale. Roberta Gisotti ha intervistato Paolo Beccegato, responsabile dell’area internazionale dell’organismo ecclesiale.RealAudioMP3

D. - Mentre le armi dominano la scena in Siria e la diplomazia è incapace di risolvere il conflitto, come sta sopravvivendo la popolazione in fuga? Quale situazione avete trovato nei campi profughi giordani?

R. - In primo luogo, c’è una grandissima preoccupazione per le notizie che arrivano a livello internazionale, perché certamente tutto il Medio Oriente è collegato; c’è chi ha un parente in Terra Santa, chi in Libano, chi ha ancora fortissimi legami con la Siria e non parlo solo dei cittadini siriani, ma anche di quelli giordani e così via. Quindi l’apprensione e la preoccupazione sono ai massimi livelli. Il numero complessivo dei siriani in Giordania ha ormai superato il milione e 300 mila; quindi un numero impressionante se pensiamo che, in tutto, in Siria ci sono sei milioni di persone. Se poi consideriamo che a questi si aggiungono più di mezzo milione di iracheni che ancora restano qui, e più di mezzo milione di egiziani, certamente è un insieme molto composito di persone di nazionalità diverse che effettivamente non è facile gestire, mantenere in pace e in serenità.

D. - Come vi state coordinando per gli aiuti insieme alle altre Caritas locali?

R. - Devo dire che abbiamo riscontrato una grande capacità organizzativa, una grande voglia di collaborazione tra governo, agenzie dell’Onu, realtà locali, la Chiesa che è molto attiva; la Caritas di Giordania segue 130 mila persone. Per cui, lo sforzo è enorme. Quello che invece desta grandissima preoccupazione è lo scenario futuro e l’imprevedibilità di ciò che potrebbe succedere da qui a pochi giorni.

D. - Quali bisogni primari avete individuato?

R. - Più dell’80 percento dei siriani in Giordania sono donne e bambini; quasi tutti hanno assistito ad episodi di violenza verso familiari o persone ben note. Quasi tutti, soprattutto i bambini, soffrono di problemi psicologici. Oltre ai campi profughi, molti siriani si sono ormai dispersi in tutta la Giordania e quindi, in prospettiva futura, la situazione è molto preoccupante perché migliaia di persone arrivano tutti i giorni. E se ne dovessero arrivare altre decine di migliaia, o centinaia di migliaia, la situazione sarebbe ingestibile.

D. - Immagino che in questo momento ci sia scoraggiamento tra la popolazione civile, che ci sia poca speranza che le armi vengano deposte …

R. - Qui ormai quasi tutti sono un po’ pronti al peggio. Certamente c’è molto stupore, anche se evidentemente la Giordania è sempre stato un Paese un po’ a sé, capace di mantenere buoni rapporti con tutti, buone relazioni, anche grande capacità di dialogo, di adattamento alle situazioni. Quindi da un verso, resta un Paese – se vogliamo – 'fortunato', perché appunto nei rapporti che ha un po’ con tutto il mondo ed anche con il Medio Oriente, è riuscito a trovare dei buoni equilibri. D’altro canto, però, la preoccupazione è fortissima, perché i legami con la Siria sono storici e molto radicati da tutti i punti di vista, non solo i legami a livello politico, ma anche familiare, sociale ... Quindi tutti sono preoccupati per i parenti che hanno lasciato in Siria, per le persone che conoscono, per quello che può succedere un domani. Certo, si auspica che si possa trovare una soluzione più ragionevole e meno violenta possibile, che sia più il frutto di dialogo e riconciliazione.







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