Giordania, delegazione della Caritas Italiana nei campi profughi: 1 milione e 300
mila i siriani
In questi giorni è giunta in Giordania una delegazione della Caritas italiana per
valutare i bisogni nei campi profughi, che ospitano oltre un milione di siriani. La
missione proseguirà fino al 30 agosto toccando anche Gerusalemme e la Cisgiordania
per coordinare gli interventi umanitari nella complessa realtà mediorientale. Roberta
Gisotti ha intervistato Paolo Beccegato, responsabile dell’area internazionale
dell’organismo ecclesiale.
D. - Mentre
le armi dominano la scena in Siria e la diplomazia è incapace di risolvere il conflitto,
come sta sopravvivendo la popolazione in fuga? Quale situazione avete trovato nei
campi profughi giordani?
R. - In primo luogo, c’è una grandissima preoccupazione
per le notizie che arrivano a livello internazionale, perché certamente tutto il Medio
Oriente è collegato; c’è chi ha un parente in Terra Santa, chi in Libano, chi ha ancora
fortissimi legami con la Siria e non parlo solo dei cittadini siriani, ma anche di
quelli giordani e così via. Quindi l’apprensione e la preoccupazione sono ai massimi
livelli. Il numero complessivo dei siriani in Giordania ha ormai superato il milione
e 300 mila; quindi un numero impressionante se pensiamo che, in tutto, in Siria ci
sono sei milioni di persone. Se poi consideriamo che a questi si aggiungono più di
mezzo milione di iracheni che ancora restano qui, e più di mezzo milione di egiziani,
certamente è un insieme molto composito di persone di nazionalità diverse che effettivamente
non è facile gestire, mantenere in pace e in serenità.
D. - Come vi state coordinando
per gli aiuti insieme alle altre Caritas locali?
R. - Devo dire che abbiamo
riscontrato una grande capacità organizzativa, una grande voglia di collaborazione
tra governo, agenzie dell’Onu, realtà locali, la Chiesa che è molto attiva; la Caritas
di Giordania segue 130 mila persone. Per cui, lo sforzo è enorme. Quello che invece
desta grandissima preoccupazione è lo scenario futuro e l’imprevedibilità di ciò che
potrebbe succedere da qui a pochi giorni.
D. - Quali bisogni primari avete
individuato?
R. - Più dell’80 percento dei siriani in Giordania sono donne
e bambini; quasi tutti hanno assistito ad episodi di violenza verso familiari o persone
ben note. Quasi tutti, soprattutto i bambini, soffrono di problemi psicologici. Oltre
ai campi profughi, molti siriani si sono ormai dispersi in tutta la Giordania e quindi,
in prospettiva futura, la situazione è molto preoccupante perché migliaia di persone
arrivano tutti i giorni. E se ne dovessero arrivare altre decine di migliaia, o centinaia
di migliaia, la situazione sarebbe ingestibile.
D. - Immagino che in questo
momento ci sia scoraggiamento tra la popolazione civile, che ci sia poca speranza
che le armi vengano deposte …
R. - Qui ormai quasi tutti sono un po’ pronti
al peggio. Certamente c’è molto stupore, anche se evidentemente la Giordania è sempre
stato un Paese un po’ a sé, capace di mantenere buoni rapporti con tutti, buone relazioni,
anche grande capacità di dialogo, di adattamento alle situazioni. Quindi da un verso,
resta un Paese – se vogliamo – 'fortunato', perché appunto nei rapporti che ha un
po’ con tutto il mondo ed anche con il Medio Oriente, è riuscito a trovare dei buoni
equilibri. D’altro canto, però, la preoccupazione è fortissima, perché i legami con
la Siria sono storici e molto radicati da tutti i punti di vista, non solo i legami
a livello politico, ma anche familiare, sociale ... Quindi tutti sono preoccupati
per i parenti che hanno lasciato in Siria, per le persone che conoscono, per quello
che può succedere un domani. Certo, si auspica che si possa trovare una soluzione
più ragionevole e meno violenta possibile, che sia più il frutto di dialogo e riconciliazione.