Settimana di formazione missionaria ad Assisi. Don Brignoli: essere una Chiesa di
strada
Fare dell’uomo e della storia le vie maestre della missione. E’ la proposta rivolta
a tutti gli operatori delle missioni che partecipano all’11.ma Settimana nazionale
di formazione e spiritualità missionaria organizzata ad Assisi, dalla Conferenza episcopale
italiana, da ieri al 31 agosto. “Sulle strade del mondo – Con il Vangelo nelle ricerche
degli uomini” è il tema dei lavori. Gabriella Ceraso ne ha parlato con don
Alberto Brignoli della Fondazione Missio della Cei:
R. - La
caratteristica della settimana è quella di aprire l’anno pastorale dal punto di vista
della sensibilità missionaria e lo facciamo attraverso la riflessione sul tema dell’anno
che è questo tema della strada, del mondo, che poi è la prospettiva che Papa Francesco
ci regala ossia che la Chiesa deve essere una Chiesa di strada, che incontra gli uomini
nelle realtà in cui essi vivono. Il missionario si pone proprio in questo atteggiamento
di accompagnamento, non di giudizio o di superiorità e su quelle strade che l’uomo
percorre cerca di essere testimone della presenza di Dio.
D. – Missionarietà
che – come dice il Papa – è anche sempre comunione con la Chiesa…
R. – Nella
formazione un aspetto importante è proprio la dimensione dell’ecclesialità: riteniamo
importante che il missionario abbia sempre presente di essere missionario a nome di
una Chiesa, per una Chiesa, verso una Chiesa e da una Chiesa. Il rischio di avere
testimoni molto validi, bravi ed anche spiritualmente molto formati, ma che agiscono
un po’ da “battitori liberi”, è molto forte. Ripeto, non è necessario essere all’interno
della Chiesa per fare del bene – su questo non ci piove – ma per essere missionari
sì. Quindi, vogliamo ribadire innanzitutto, nella formazione, il riferimento all’ecclesialità:
a quella piccola o grande realtà che ognuno vive nella propria diocesi, all’interno
della propria congregazione religiosa, all’interno di un organismo di volontariato
che lo invia. Sapere che io in missione non vado a mio nome, non vado a nome o a titolo
personale; vado sempre a nome di un popolo, di una Chiesa, di un popolo di Dio che
mi accompagna e sempre verso un popolo che mi accoglie. Tutto questo mi aiuta anche
ad avere una formazione che diventa rispetto dell’altro, conoscenza della sua cultura,
del suo mondo.
D. – Secondo le parole di Papa Francesco siamo tutti - in quanto
cristiani, battezzati - chiamati all’evangelizzazione…
R. – Certamente sì.
La missione non è andare lontano; la missione è andare ai lontani ma i primi lontani
siamo noi. Siamo proprio noi che facciamo fatica nel nostro piccolo quotidiano della
vita di ogni giorno a vivere l’annuncio del Vangelo. Siamo quindi missionari innanzitutto
per noi stessi e comunque è a noi che viene data in dono questa aria nuova, questo
respiro nuovo del vivere la fede, che poi ci porta con maggiore facilità a condividerlo
con gli altri.
D. – Pensando ai missionari, che spesso si trasformano in veri
e propri martiri, il Papa ha detto che oggi ce ne sono di più che nei primi secoli
della vita cristiana. Questo è un fattore che scoraggia?
R. – In molti casi
c’è dell’ostilità nei confronti del messaggio del Vangelo. Ma anche là dove non c’è
ostilità esplicita il martirio si gioca proprio nella difficoltà dello scalfire questa
coltre di indifferenza, di freddezza che, a volte, abbiamo nei confronti non solo
del Vangelo ma anche verso tutta quella che è la realtà della spiritualità. Ma guardiamo
anche alla forza che tanta testimonianza cristiana – a volte nell’anonimato, nella
solitudine e nel silenzio – vive come una sorta di martirio. In questo senso dico
che è una cosa molto confortante.
D. – Quando si parla proprio di spiritualità
missionaria cosa si vuole indicare o ribadire?
R. – Con il concetto di spiritualità
vogliamo ribadire che se un missionario, se un testimone del Vangelo non ha una forte
dimensione spirituale - quindi un attaccamento alla parola - difficilmente riesce
ad essere un testimone. Fare volontariato, fare del bene è una cosa che piace a tanti,
che fa piacere, una cosa che tanti fanno; ma farlo con una dimensione spirituale -
attraverso soprattutto la dimensione della lectio, del contatto con i testi
e del confronto con una comunità che è la Chiesa che cammina insieme a noi – pensiamo
che sia necessario ribadirlo ogni volta.