2013-08-26 14:38:38

Iraq: dopo l'escalation di attentati, Al Maliki chiede più sostegno dagli Usa


E’ stata una domenica di sangue quella appena trascorsa in Iraq. Attacchi in tutto il Paese, da Nord a Sud con autobomba piazzate lungo le strade di Baghdad, Mosul e Baquba. Numerose anche le sparatorie: il bilancio non è chiaro, ma si parla di oltre 45 vittime che porta a 3600 il numero delle persone uccise dall’inizio dell’anno. Dietro la violenza lo scontro tra sunniti e sciiti, lo sconfinamento della crisi siriana, e il rafforzamento dell’incidenza del terrorismo internazionale, tanto che il premier Al Maliki avrebbe nuovamente chiesto a Washington armi e droni per combattere i miliziani. Al microfono di Cecilia Seppia, il commento di Francesca Manfroni, giornalista di Osservatorio per l’Iraq:RealAudioMP3

R. - In questo momento in Iraq stanno agendo diversi gruppi di terroristi non in accordo tra loro. Ad esempio, si parla molto di Abu al-Baghdadi, il leader dello Stato islamico in Iraq, che in questo momento opera in modo molto feroce, sia nel territorio iracheno che su quello siriano, tant’è che stiamo assistendo, nuovamente, alla nascita dei "Consigli del Risveglio", dei consigli creati dalle tribù sunnite dell’Anbar - quindi anche quelle in contrasto con il governo centrale guidato da al-Maliki - che però si opponevano alla violenza perpetrata dalle milizie di al-Zarqawi, altro gruppo terroristico iracheno. Quindi, si sta ricreando una situazione di caos totale come abbiamo assistito in quel periodo. Questo è profondamente drammatico, perché è "un tutti contro tutti" e i morti, così, non potranno che salire nei prossimi mesi.

D. - Quindi la matrice terroristica di questi attentati, ma anche ovviamente il peso della crisi siriana, si sta facendo sempre di più sentire in Iraq ...

R. - In questo momento tutto ciò che opera in Iraq si sta rafforzando grazie alla visibilità, al circuito di soldi che sta girando grazie alle operazioni sul territorio siriano; diciamo che l’insorgenza irachena si sta alimentando del conflitto siriano per riprendere vigore anche sul territorio iracheno. Questo comunque dimostra che il passaggio di consegne tra gli Stati Uniti e l’esercito iracheno non ha funzionato e che il Paese è assolutamente governato da piccole fazioni.

D. - Ricordiamoci poi che c’è questa figura "scomoda" del premier al-Maliki attorno al quale le lotte per il potere si sono intensificate ...

R. - Ci sono spaccature ovunque. All’interno degli stessi sunniti ci sono spaccature, così come sul fronte sciita, perché vorrei ricordare che Maliki vorrebbe correre per il terzo mandato e persino il suo partito si sta opponendo a questa ipotesi. Il pericolo è che l’attuale primo ministro venga un po’ - come è successo in passato - usato come capro espiatorio per non risolvere il vero problema: l’Iraq è un Paese che non può andare avanti per quote confessionali e per aree di influenza, perché era un Paese essenzialmente unito prima e adesso è diviso in tre parti controllate rispettivamente da tre gruppi.

D. - A due anni dal ritiro delle truppe statunitensi, il governo di al-Maliki avrebbe - tra l’altro - chiesto a Washington armi, droni ed altri mezzi per combattere sia i miliziani sunniti, sia Al Qaeda; una richiesta “particolare” ...

R. - Una richiesta che sostanzialmente non fa che avvalorare tutto quello che abbiamo detto finora, perché comunque il potere sa che il territorio non è sotto controllo. A tutto questo però ci tengo a contrapporre una società civile irachena sempre più sfiancata dalle violenze, ma che continua a farsi forza, nonostante questo scenario di violenze; ricordo che le principali vittime di questa violenza sono civili assolutamente inermi che prendono il caffè al bar di Baghdad, o che passeggiano per strada.







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