Attacco con armi chimiche, Londra accusa Damasco. Mosca: prove preparate contro Assad
“Un fatto enorme”: così il presidente americano Obama, in un’intervista alla Cnn,
è intervenuto sul presunto attacco con gas nervino nei giorni scorsi in Siria. E il
ministro degli Esteri britannico Hague, riferendosi a quanto accaduto, punta il dito
contro Assad mentre la Russia si scaglia contro l’Europa e parla di “prove preparate”
di attacco. Ce ne parla Benedetta Capelli:
Preoccupazione e cautela.
Su questi due fronti si muove il presidente degli Stati Uniti Obama di fronte alle
notizie che vengono dalla Siria. Ed è chiara la richiesta: l’Onu deve avviare un’indagine
accurata ed obiettiva per capire se i lealisti abbiano usato gas nervino, qualche
giorno fa, nei sobborghi di Damasco. Un attacco - denuncia l’opposizione – che avrebbe
causato oltre 1300 morti. Obama ha difeso la prudenza dell’amministrazione americana
mettendo in guardia dal pericolo di trovarsi “impantanati in situazioni difficili”.
Decisa la posizione della Russia che ha parlato di “inaccettabili” pressioni dell’Europa
sull’Onu contro il regime siriano di Assad. Fonti russe aggiungono che sarebbero già
state preparate prove per accusare il governo di Damasco. Ma a puntare il dito contro
Assad è soprattutto la Gran Bretagna. Il ministro degli Esteri Hague ha ipotizzato
la mano di Damasco nel presunto attacco. Di fronte alla certezza dell’uso di armi
chimiche, le Nazioni Unite hanno già parlato di gravi conseguenze perché si tratterebbe
di un “crimine contro l’umanità”. “Quanto sta accadendo – ha evidenziato il mediatore
per la crisi siriana Brahimi – rende sempre più urgente la conferenza di Ginevra 2”,
un vertice tra l’altro mai convocato. La crisi siriana – ha proseguito – è la più
grave minaccia alla pace. Pur condannando, la comunità internazionale si divide sull’ipotesi
di un intervento nel Paese, che vede a favore Francia e Turchia.
Intanto,
Unicef e Alto Commissariato Onu per i rifugiati lanciano l'allarme: sono un milione
i bambini siriani profughi e due milioni di minori sfollati. “Si tratta di bimbi veri
e non solo numeri – fanno sapere – bimbi che sono stati strappati dalle loro case,
obbligati ad affrontare orrori che possiamo solo cominciare a comprendere”. Al microfono
di Benedetta Capelli, Laurence Jolles, rappresentante dell'Alto Commissariato
per l'Europa sud-orientale:
R. – I numeri
sono, naturalmente, importanti, però è difficile rendersi conto che tutti questi bambini
che sono arrivati hanno visto e subito violenze e sono stati parte di una violenza
che li ha investiti negli ultimi due anni. Molti di questi hanno perduto tutta la
loro stabilità, la sicurezza che avevano, la sicurezza dell’ambiente familiare … E
quindi, ci sono senz’altro delle ferite che sono lì e che continueranno ad esserci
per lungo tempo in futuro. Hanno bisogno di un aiuto: un aiuto che ridia loro un po’
di speranza per il futuro.
D. – Di fronte a quello che vi raccontano i vostri
operatori, c’è un’immagine che vuole proporci per raccontare ancora meglio questo
dramma nel dramma che si sta vivendo?
R. – A me viene in mente una delle cose
che ho visto spesso in campi di rifugiati: se a questi bambini si dà un pezzo di carta
e delle matite per disegnare, si vedono immagini che sono totalmente diverse da quelle
a cui siamo abituati noi. Si vede – ed è una cosa incredibile! – il nero del fuoco
e il rosso sgargiante del sangue, le bombe, i morti, i proiettili. Io solo vedendo
questo mi sono ulteriormente reso conto di quanto abbiano visto e quanto abbiano sperimentato
questi bambini che se pure li si vede così, con un sorriso, giocando in un campo di
rifugiati, hanno subito dei traumi che a volte sono visibili ma molto spesso sono
latenti ed usciranno, e loro se li porteranno dietro per tanti anni!
D. – Ma
come si rimedia ad un dramma simile? Come si curano queste ferite dei bambini?
R.
– Non si possono mai curare del tutto, naturalmente. C’è un grande sforzo per dare
un sostegno psicosociale in tutti i campi, ma il rimedio – naturalmente – è una soluzione
politica: bisogna risolvere questa situazione e mettere fine alle violenze e alla
guerra che c’è ancora. Nel frattempo, noi del fronte umanitario tentiamo di aiutare
quanto più possiamo nell’immediato.
D. – In Italia stiamo assistendo anche
all’arrivo di tanti profughi siriani, in particolar modo bambini. Su questo fronte,
com’è la situazione?
R. – Cominciano ad arrivare gruppi di siriani: ancora
sono molto pochi, paragonati ai siriani che ci sono nei Paesi limitrofi alla Siria.
Però, è logico che più a lungo il conflitto continua, e più persone continueranno
ad uscire dalla Siria. E stiamo parlando di seimila persone al giorno che escono dalla
Siria: bisogna avere una certa preparazione. Quello che noi chiediamo a tutti i Paesi,
inclusi naturalmente quelli europei, è di continuare a tenere le frontiere aperte,
rendere possibile l’accesso al territorio, tentare di facilitare la riunificazione
familiare di famiglie disperse e di famiglie che non sono più insieme, e di tentare
di gestire insieme gli arrivi. Finora, l’Italia – per quanto riguarda gli arrivi in
quest’ultimo anno – ha fatto un grande sforzo, con la Guardia Costiera e con la Guardia
di Finanza, per tentare di soccorrere quelli che arrivano via mare, e c’è sempre stata
una prima accoglienza e un accesso all’asilo, e queste sono cose molto buone.
D.
– C’è un ulteriore appello che vuole lanciare?
R. – Bisogna continuare ad avere
uno spirito aperto, una certa tolleranza, una comprensione del fatto che molti di
quelli che arrivano hanno bisogno di protezione, cercano un rifugio e sono giustificati
a farlo, perché sono fuggiti da situazioni di violenza, di guerra, di persecuzioni
che hanno fatto sì che siano stati costretti a partire. Non è necessariamente una
scelta: spesso è una costrizione. Quello che vorrei è incoraggiare tutti è ad aprire
un po’ le braccia e avere un po’ di carità cristiana.