2013-08-22 08:10:54

Parigi: rispondere con la forza se confermati attacchi chimici in Siria. Zenari: "Basta con questa guerra"


Il mondo guarda attonito ed esterrefatto alle immagini che vengono dalla Siria, dove un attacco - forse con armi chimiche - ha provocato la morte di oltre 1200 persone, molti dei quali bambini e donne. L’operazione è avvenuta ieri nell’oasi di Ghouta, a sud-est di Damasco. Da parte degli insorti si punta il dito contro il regime di Assad, che invece respinge ogni accusa e parla di manipolazione mediatica: sarebbe stato un suicidio politico, afferma un funzionario dei servizi di sicurezza di Damasco. L’Onu chiede più chiarezza sui fatti, mentre Stati Uniti e Russia tornano su posizioni opposte: Washington è certa che Damasco abbia utilizzato il gas, mentre Mosca rilancia l’accusa nei confronti dell’opposizione siriana. Da parte sua, il ministro degli Esteri francese Lauren Fabius ha detto che se gli attacchi con armi chimiche in Siria fossero confermati e se il Consiglio di Sicurezza non riuscisse a prendere alcuna decisione, sarebbe necessario rispondere con la forza in altri modi, escludendo comunque un impiego di soldati sul terreno. Il servizio di Marina Calculli:RealAudioMP3

Le immagini diffuse ieri dall’opposizione sembrano parlar chiaro: oltre alla fila interminabile dei sudari bianchi, ci sono uomini, donne, bambini con difficoltà evidenti nel respirare o schiuma bianca alla bocca: tutto, insomma, fa pensare ad un’intossicazione – proprio quello che l’opposizione imputa al regime: l’uso di gas nervino nei bombardamenti che ieri sono piombati su 6 sobborghi di Damasco. Se confermato, sarebbe il più grave attacco con armi non convenzionali degli ultimi 25 anni, dopo quello di Saddam Hussein di Halabija del 1988 contro i curdi. Il regime però smentisce, ammette l’operazione per espellere i ribelli dal circondario della capitale, ma nega fermamente l’uso di armi chimiche. “E’ un tentativo di distrarre gli ispettori dell’ONU”. A Damasco, infatti, da pochissimi giorni sono giunti esperti del Palazzo di Vetro per verificare l’uso di armi chimiche, ma in battaglie precedenti. E certo ci si chiede perché il regime abbia voluto fare questo proprio durante la loro presenza nel paese. La Russia parla di “provocazione programmata” dai ribelli. L’ONU chiede chiarezza, così come anche Europa e Stati Uniti, e preme perché gli ispettori si rechino subito sul luogo. Gli occhi dell’opinione pubblica mondiale ora sono puntati su Obama, che un anno fa aveva posto l’uso di armi chimiche come una linea rossa per far scattare un intervento militare.

E sulla tragedia che continua ad abbattersi sulla Siria, Manuella Affejee, della nostra redazione in lingua francese, ha raccolto l’accorato appello di pace del nunzio a Damasco, mons. Mario Zenari:RealAudioMP3

R. – Hanno colpito tutti, credo, tutto il mondo queste immagini che circolano in Internet e in televisione: è veramente uno shock per la comunità internazionale. Qui la gente ormai è stufa e credo che veramente lancia un grido di allarme alla comunità internazionale per dire: "Aiutateci affinché questa guerra termini immediatamente! Siamo stufi di questa guerra, non ne possiamo più! Non si può più andare avanti in questa maniera". Credo che questo grido salga dai siriani che invocano uno sforzo maggiore della comunità internazionale per trovare subito una soluzione politica a questa grave crisi.

E intanto in Siria si fa sempre più preoccupante la situazione umanitaria. Migliaia le persone che si stanno riversando nel Kurdistan iracheno, una zona non attrezzata a gestire un flusso così imponente. Benedetta Capelli ne ha parlato con Giacomo Guerrera, presidente di Unicef Italia:RealAudioMP3

R. – Come Unicef, le notizie sono molte, quelle che pervengono dalla Siria e pervengono da entrambi i fronti. C’è molta propaganda. Noi abbiamo mobilitato i nostri operatori sul campo per sapere di più su quanto è avvenuto.

D. – E’ innegabile, però, che la situazione in Siria sia preoccupante. Nell’ultimo periodo si registra questo flusso di profughi nel Kurdistan iracheno. Innanzitutto, è una zona attrezzata per accogliere questi profughi?

R. – No … queste persone sono arrivate nel giro di cinque giorni: più di 30 mila persone hanno attraversato il Tigri sul ponte di Peshkabur, nel Nord dell’Iraq, perché è un nuovo valico che si è aperto. Queste persone arrivano in un’area dove non c’è nulla: non c’è distribuzione idrica, non ci sono fognature, non ci sono luoghi per un riparo naturale, e le temperature arrivano a oltre 45°! Quindi, l’intervento delle organizzazioni umanitarie – noi per primi – è quello di correre immediatamente per distribuire acqua, per portare materiale sanitario, per aiutare soprattutto i bambini e tutti coloro che si trovano in queste condizioni. Ma anche noi abbiamo bisogno di aiuto, perché sono oltre due anni che interveniamo, con la più completa disattenzione da parte della comunità internazionale!

D. – Sono appunto due anni che il conflitto siriano va avanti ma sembra che la comunità internazionale concretamente non riesca a indicare una strada per la soluzione. I bambini, però, continuano a soffrire e a morire …

R. – Possiamo dire che diverse iniziative ci sono state anche a livello internazionale, però si è sempre fermato tutto in superficie. Noi speriamo di incidere maggiormente su questo tema. Lo faremo anche in un convegno che realizzeremo nel mese di settembre proprio per discutere di questo argomento e per cercare di rimetterlo al centro. Senza l’aiuto della comunità internazionale sarà difficile intervenire in questi luoghi dove le notizie sono sempre frammentarie, sono contrapposte … non si sa bene quale sia la verità, ma purtroppo i bambini continuano a morire.

D. – Per quanto riguarda quest’ultima ondata di profughi in Iraq, quali sono le necessità, i bisogni che l’Unicef intende evidenziare?

R. – Io le dico quello che i nostri operatori sul campo ci riferiscono. Queste persone sono arrivate esauste: forse il termine dice tutto. Hanno urgente bisogno di tutto: dall’acqua, alle medicine, ai viveri, a un riparo! A un riparo, soprattutto, perché 45° non si sopportano! Non è semplice soprattutto in zone desertiche dove magari non si trova proprio nulla. E quindi, l’intervento delle organizzazioni umanitarie è importantissimo. Noi abbiamo fatto partire dalla nostra "Supply Division" di Copenaghen aiuti immediati per intervenire in questa località; lo facciamo sempre e lo facciamo dappertutto: lo stiamo facendo un po’ in tutte le regioni – Libano, Giordania, Turchia, Iraq, in altre zone … Ma è chiaro che quando improvvisamente si apre un nuovo varco, e arrivano 30, 40 mila persone, è necessario intervenire… si pensa a come può essere possibile aiutarli senza una disponibilità adeguata…







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