Guerra in Siria. Mons. Tomasi: sì al dialogo, no a intervento armato
La crisi in Siria si aggrava e rischia di allargarsi dopo le sconvolgenti immagini
di morte giunte dal Paese con la possibilità che siano state usate armi chimiche contro
i civili, compresi donne e bambini. Civili che stanno sempre più fuggendo dalla Siria
creando un dramma nel dramma. Ascoltiamo in proposito la riflessione di mons. Silvano
Maria Tomasi, osservatore permanente della Santa Sede presso l’Ufficio Onu di
Ginevra, al microfono di Sergio Centofanti:
R. – La comunità
internazionale si sta giustamente preoccupando per gli ultimi sviluppi in Siria, che
hanno fatto decine e decine di morti. Primo punto da osservare mi pare sia quello
che il Santo Padre ha già sottolineato e cioè che la violenza non porta a nessuna
soluzione e che quindi bisogna riprendere il dialogo per poter arrivare a Ginevra
2, dove i rappresentanti di tutte le componenti della società siriana possano essere
presenti, esporre le loro ragioni e insieme creare una specie di governo di transizione.
Per ottenere quest’obiettivo non si possono mettere condizioni che rendano di fatto
impossibile questa iniziativa, come escludere l’uno o l’altro dei gruppi che sono
coinvolti. Mi pare che questo sforzo sia assolutamente necessario per fermare la violenza.
Occorre anche non continuare ad inviare armi sia all’opposizione che al governo. Non
si crea certamente la pace, infatti, portando nuove armi a questa gente. Mi pare poi
che per arrivare ad una giusta soluzione si debba evitare una lettura parziale della
realtà della Siria e del Medio Oriente in generale. Ho l’impressione che la stampa
e i grandi mezzi di comunicazione non considerino tutti gli aspetti che creano questa
situazione di violenza e di continuo conflitto. Abbiamo visto in Egitto il caso dei
Fratelli Musulmani, dove l’appoggio indiscriminato a loro ha portato ad altra violenza.
Ci sono degli interessi ovvi: chi vuole un governo sunnita in Siria; chi vuole mantenere
una partecipazione di tutte le minoranze. Bisognerebbe, quindi, partire dal concetto
di cittadinanza, rispettare ogni cittadino come cittadino del Paese, e poi lasciare
che le identità religiose, etniche, politiche, si sviluppino in un contesto di dialogo.
D.
– In Siria ora si parla di attacchi con armi chimiche, anche se Damasco smentisce
categoricamente...
R. – Non bisogna accelerare un giudizio senza avere sufficiente
evidenza. La comunità internazionale, attraverso gli osservatori delle Nazioni Unite,
che sono già presenti in Siria, potrebbe far luce su questa nuova tragedia. Non si
può, a mio avviso, partire già con un pregiudizio, dicendo che questo o quello sono
responsabili. Dobbiamo chiarire il fatto, anche perché da un punto di vista d’interessi
immediati, al governo di Damasco non serve questo tipo di tragedia, sapendo che ne
è comunque incolpato direttamente. Come nel caso delle investigazioni di un omicidio,
bisogna farsi la domanda: a chi veramente interessa questo tipo di crimine disumano?
D.
– C’è chi parla d’intervento armato, se fosse confermato l’attacco chimico...
R.
– L’esperienza di simili interventi in Medio Oriente, in Iraq, in Afghanistan, mostrano
che la strada dell’intervento armato non ha portato nessun risultato costruttivo.
Rimane valido il principio: con la guerra si perde tutto.