Il Papa al Meeting di Rimini: il potere teme chi dialoga con Dio. Mons. Lambiasi:
i credenti abbiano il coraggio di andare controcorrente
Con la Messa celebrata dal vescovo di Rimini, mons. Francesco Lambiasi, durante la
quale si è letto il messaggio inviato da Papa Francesco, si è aperta alla Fiera la
34.ma edizione del Meeting per l'Amicizia tra i Popoli, promosso da Comunione e Liberazione,
sul tema "Emergenza Uomo". Per il Papa, il potere teme chi dialoga con Dio perché
ciò rende liberi. Sul contenuti del suo messaggio, ascoltiamo il servizio di Luca
Collodi, inviato a Rimini:
Il mondo è
interessato all’uomo. Il potere economico, politico, mediatico ha bisogno dell’uomo
per perpetuare e gonfiare se stesso. E per questo cerca spesso di manipolare le masse,
di indurre desideri, di cancellare ciò che di più prezioso l’uomo possiede: il rapporto
con Dio. Il potere, scrive il Papa nel messaggio al Meeting di Rimini 2013, teme gli
uomini che sono in dialogo con Dio poiché ciò rende liberi e non assimilabili. Ecco
allora l’emergenza-uomo, prosegue Papa Francesco, che il Meeting per l’Amicizia
tra i Popoli pone quest’anno al centro della sua riflessione: occorre, scrive
il Papa, tornare a considerare la sacralità dell’uomo e nello stesso tempo dire con
forza che è solo nel rapporto con Dio, cioè nella scoperta e nell’adesione alla propria
vocazione, che l’uomo può raggiungere la sua vera statura. Per questo la Chiesa ha
una grande responsabilità. Andiamo con coraggio incontro agli uomini e alle donne
del nostro tempo, esorta Francesco, ai bambini, agli anziani, ai “dotti” e alla gente
senza alcuna istruzione, ai giovani e alle famiglie. Facciamolo non solo nelle chiese
e nelle parrocchie, ma nelle scuole, nelle università, nei luoghi di lavoro, negli
ospedali, nelle carceri, ma anche nelle piazze, sulle strade, nei centri sportivi
e nei locali dove la gente si trova. E’ questo, sull’esempio di Cristo, che ha lasciato
il suo cielo per farsi uomo ed essere vicino ad ognuno, il compito della Chiesa e
di ogni cristiano. “Emergenza uomo”, significa allora l’emergenza di tornare a Cristo.
La povertà, aggiunge il Papa, non è però solo quella materiale. Esiste una povertà
spirituale che attanaglia l’uomo contemporaneo. Siamo poveri di amore, assetati di
verità e giustizia, mendicanti di Dio. La povertà più grande, conclude il Papa citando
il servo di Dio Mons. Luigi Giussani, fondatore di Comunione e Liberazione, è la mancanza
di Cristo, e finchè non porteremo Gesù agli uomini avremo fatto per loro sempre poco.
Del
richiamo di Papa Francesco per questa edizione del Meeting Luca Collodi ha
parlato con mons. Francesco Lambiasi, vescovo di Rimini:
R. – L'uomo
non può bastare a se stesso e allora è Dio che viene in cerca dell’uomo ed è questo
il grande evento: l’incarnazione, la morte, la risurrezione di Gesù. E’ Gesù che viene
ad intercettare l’uomo, portando la domanda di Dio all’uomo delle origini: “Adamo
dove sei?” E il Signore incontra l’uomo laddove l’uomo vive, lotta, soffre e spera.
Questa è la missione che Gesù ha affidato poi alla sua Chiesa. Per questo l’uomo è
la via della Chiesa.
D. – Il potere economico, politico e anche mediatico
però - come ha ricordato il Papa - talvolta ostacola questo percorso di avvicinamento
dell’uomo a Dio...
R. – Certo, perché il potere assume spesso un volto diabolico
e il diavolo è il grande divisore: illude l’uomo. E’ vero che in fondo il contrario
della fede non è tanto l’incredulità: è l’idolatria. Quando il potere seduce l’uomo
e lo illude che può diventare Dio a se stesso allora siamo già sulla china del declino
irrimediabile, irrimediabile alle nostre forze. Per questo l’uomo è un essere che
ha bisogno di una salvezza, di una salvezza che gli può essere data solo per grazia.
D.
– Il Papa sembra indicare fuori dalle chiese e dalle parrocchie questo compito missionario...
R.
– Certo, certo, perché la Chiesa deve avere il coraggio di andare controcorrente.
Il Signore, infatti, ci ha chiamato ad essere sale e non zucchero della città dell’uomo.
Mi sembra davvero che il Meeting, ancora una volta, diventi una preziosa occasione
di riflessione, di scambio, di incontro, di amicizia fra i popoli. E’ davvero un dono
del quale dobbiamo essere grati e insieme responsabili.
D. – Lei pensa che
la gente di oggi che è a Rimini per riposarsi o per fare una vacanza, come in altri
punti del Paese, sia consapevole di quella che è la crisi antropologica di oggi o
crisi economica oppure se ne accorge solo quando magari con i soldi non ce la fa ad
arrivare a fine mese?
R. – Misurare il grado di consapevolezza della radice
antropologica della crisi in corso è un’impresa piuttosto ardua. Mi sembra però che
il livello di coscienza della crisi stia salendo. Vedo gente molto pensosa, gente
che si porta dentro delle domande che devono essere portate a consapevolezza. E mi
sembra che anche in questo senso il Meeting rappresenti una grande opportunità.
Il
Meeting di Rimini, talvolta, viene ridotto ad una kermesse politica: ma cosa è oggi
in realtà? Luca Collodi lo ha chiesto a Sandro Ricci, direttore del
Meeting:
R. – Il Meeting
di Rimini è sicuramente un avvenimento, nel senso che nonostante tutto il nostro lavoro
di un anno intero per prepararlo in tutte le sue dimensioni, quando inizia, poi, è
un avvenimento, cioè è una storia di uomini che si incrociano, che si incontrano,
che fanno amicizia e che approfondiscono dei temi. Da questo punto di vista, quindi,
è un’esperienza variegata, che va dall’affronto dell’attualità, come può essere anche
la politica, ma soprattutto dalle testimonianze di chi vive sul campo ed è in grado
di raccontarci come affronta i problemi della sua vita, alla grande arte, alla grande
musica, al grande teatro. Effettivamente, se uno non viene non riesce a capire fino
in fondo che cosa sia questo evento, che anche noi vediamo crescere fra le mani e
non riusciamo a determinare fino in fondo. E’ lui che vive, che ha una sua capacità
di essere una presenza nel mondo. Sarebbe, quindi, un po’ riduttivo limitarlo all’incontro
con i politici piuttosto che agli spettacoli o alle esposizioni: è un momento di vita.
D.
– E’ giusto dire che al Meeting di Rimini si può incontrare, ma si può soprattutto
parlare anche con persone che non la pensano come noi?
R. – Assolutamente sì.
E’ sempre stata una nostra caratteristica, che ci è cresciuta fra le mani: quella
dell’apertura. La nostra identità, che è molto precisa – noi siamo tutte persone che
facciamo un’esperienza cristiana ben determinata, abbiamo un cammino preciso nella
nostra vita – ci ha aiutato a dialogare e ad aprirci con tutti. E da questo punto
di vista il Meeting in questi anni è stato una grande riprova di questo, perché sono
venute personalità da tutto il mondo, di tutte le religioni, di tutte le linee filosofiche,
politiche, economiche, artisti dalle estrazioni più diverse. Non è comunque, alla
fine, un guazzabuglio, ma è un incontro fra identità diverse. Questa forte identità
riesce a coagulare, ad attirare, a far vivere in maniera precisa anche un rapporto
e un dialogo con le esperienze, anche religiose, più diverse, ma soprattutto con quella
che è la domanda di fondo che alberga nell’uomo dell’uomo: questo desiderio di infinito
e di rapporto con il mistero. Da questo punto di vista, il Meeting è diventato veramente
una grande occasione per porre a tema queste questioni così di fondo dell’uomo, proprio
in un momento come questo, in cui la crisi, come dice il Papa, è una crisi dell’uomo
e non solo economico-finanziaria.
D. – L’edizione di quest’anno guarda proprio
al pianeta uomo...
R. – Il titolo provocante “Emergenza uomo” vuole proprio
dire questo: che in questo momento il punto centrale della nostra attenzione non può
non essere l’uomo, l’uomo che oggi è smarrito, che spesso è come rassegnato. Ma anche
in questo clima, noi diciamo c’è un elemento di rottura, c’è un elemento di novità
e questo lo vogliamo testimoniare attraverso le esperienze concrete di chi nel mondo
fa emergere il proprio io come una riscoperta di identità, come una ripresa di coscienza
di quello che l’uomo fino in fondo è. Per questo al Meeting, anche quest’anno, saranno
presenti diverse testimonianze delle frontiere più lontane, come quella di Claire
Ly dalla Cambogia. Un’esperienza drammatica, maturata proprio nei campi di concentramento
cambogiani, in cui questa persona, buddista di partenza, aveva bisogno di un Dio con
cui prendersela e l’unico Dio personale, che ha individuato, era quello dei cristiani.
Piano, piano, quindi, lì è nata la sua conversione e quindi la sua dedizione alla
pace e all’amicizia fra i popoli. Poi avremo una testimonianza di un cinese cattolico,
che ci dirà che cosa vuol dire vivere la fede nella Cina di oggi ed altre testimonianze
che portano alla ribalta la persona che agisce.