2013-08-16 16:17:44

Allarme lavoro. Cna: per fine anno si rischiano tre milioni e mezzo di disoccupati


Per la fine del 2013 si rischia di registrare 400mila disoccupati in più degli attuali, gli italiani senza lavoro potrebbero quindi arrivare a 3 milioni e mezzo. E’ la denuncia lanciata dalla Cna, Confederazione Nazionale dell'Artigianato e della Piccola e Media Impresa che sottolinea come gli occupati ad oggi siano circa 22milioni, il valore più basso del nuovo secolo. Tra i più colpiti i giovani con il 39,1% di disoccupati e le donne, con il 12,9%, mentre i settori maggiormente toccati continuano a essere costruzioni e industria. Francesca Sabatinelli ha intervistato Claudio Giovine, capo politiche dipartimento industriale della Cna:RealAudioMP3

R. – Abbiamo voluto lanciare un messaggio di grande attenzione sul fatto che c’è stata una richiesta di ore di cassa integrazione elevatissima, più elevata degli anni scorsi, che se fosse utilizzata interamente configurerebbe altre 400 mila persone che, nel corso del 2013, rimarrebbero senza lavoro. Questo, sommato alla bassa occupazione alla quale assistiamo da molti anni, è un dato preoccupate sia sotto il profilo economico, sia sociale.

D. – Nella nota voi definite numeri da brivido quelli che riguardano la disoccupazione femminile e giovanile…

R. – Sì, il differenziale tra la popolazione maschile e quella femminile purtroppo c’è sempre stato e si conferma anche in questo periodo difficile. Quello che invece è un dato assolutamente eclatante, ancor che preoccupante, è il dato sulla disoccupazione giovanile. Mantenere i giovani fuori dal mercato del lavoro significa non consentire l’ingresso di forze nuove, di capacità, e non dare prospettive a quella componente più importante anche ai fini dello sviluppo del Paese e della domanda. I giovani sono quelli che hanno davanti una vita, un’impostazione nuova, consumi nuovi, lasciarli fuori dal mercato del lavoro significa avere costi più alti e produttività più bassa.

D. – La Cna mette in luce anche che i settori maggiormente toccati dalla crisi sono costruzioni e industria …

R. – Sì, purtroppo è un dato che si è via via maturato nel corso degli ultimi cinque anni. La crisi dell’edilizia è nota ed è profondissima, il prodotto è calato di diversi punti percentuali – siamo oltre un 35% in meno di produzione – mentre tutta la domanda della produzione manifatturiera è quella che ha maggiormente segnato il calo in questi anni. Su tutti e due questi fronti sono necessarie politiche immediate per rimettere in moto il prodotto. Sulle costruzioni qualcosa è stato fatto recentemente dl governo, con i provvedimenti per le ristrutturazioni e per l’efficienza energetica, che potrebbe dare una scossa alla domanda privata. Rimane forte l’esigenza di rimettere in moto una domanda pubblica, ferma ormai da troppi anni, che va invece ripresa, in particolare puntando su lavori e opere di importo più limitato che possono avere una immediata “cantierabilità” e dare respiro quindi al settore. Per questo, peraltro, le risorse si potrebbero anche trovare nelle pieghe dei residui dei fondi europei: abbiamo circa 30 miliardi da utilizzare entro la fine del 2013.

D. – La ripresa sembra che sia, così viene detto, abbastanza alle porte. Quanto tempo ci vorrà per risanare, almeno in parte, questa situazione?

R. – E’ difficile fare proiezioni temporali, però è chiaro che dipenderà molto dall’intensità della ripresa, dalle modalità con cui si diffonderà nei vari settori, e dal fatto che il Paese Italia riesca a consolidare quelle condizioni positive che si stanno generando sui mercati. Pensiamo al credito: la Banca centrale europea ha confermato un atteggiamento permissivo volto a facilitare il consolidarsi sui mercati di un’attivazione di credito favorevole alle imprese. In questo caso, l’Italia invece ancora segna una marcata difficoltà. Le banche hanno atteggiamenti estremamente prudenti, i costi sono ancora troppo elevati rispetto alle prospettive di ritorno. Pensiamo anche a tutti i costi che le imprese oggi devono sopportare e che mettono ancora le imprese italiane in condizione di svantaggio competitivo. Il tema del costo del lavoro è stato già al centro di un inizio di confronto con il governo, speriamo che produca effetti volti a ridurne l’impatto sulle imprese, pensiamo ai costi energetici, pensiamo a quali sono gli elementi che mettono le imprese in una situazione di disagio. Se riuscissimo a intervenire sui fattori strutturali dell’economia, è chiaro che avremmo la capacità di accelerare l’uscita dalla crisi e quindi di recuperare più rapidamente anche la dimensione occupazionale.







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