Scontri in Egitto: oltre cento morti. Il vescovo di Assiut: il Paese non accetta uno
Stato islamico
In Egitto è scattato all’alba l’annunciato sgombero dei sit-in dei sostenitori del
deposto presidente Mohamed Morsi. Dopo l’intervento delle forze dell’ordine, la situazione
è ancora in piena evoluzione, ma si segnalano già almeno cento morti. Gli islamisti
hanno attaccato le chiese copte e la Biblioteca di Alessandria. Le autorità hanno
proclamato lo stato di emergenza per almeno un mese e il coprifuoco dalle 19.00 alle
6.00. Ci aggiorna Davide Maggiore:
È quasi impossibile avere una stima
condivisa delle vittime: i Fratelli musulmani parlano di 250 morti, il Ministero della
Sanità di 95. Secondo alcuni testimoni, l’esercito ha aperto il fuoco su sostenitori
di Morsi che lanciavano pietre e molotov. Scontri sono in corso anche in altre località,
ed è stato segnalato l’incendio di tre chiese. Intanto nella più piccola tendopoli
degli islamisti, secondo le autorità, sarebbero state ritrovate molte armi automatiche
e numerosi sostenitori di Morsi sono stati fermati per questo motivo. Il Ministero
degli Interni ha annunciato che sono state prese misure restrittive anche nei confronti
di alcuni leader della Fratellanza, tra cui Mohamed el-Beltagy, segretario generale
dell’ala politica. L’’Unione Europea ha espresso preoccupazione per le violenze, chiedendo
all’autorità di mantenere “il massimo autocontrollo”. L’imam di al-Azhar, che ha dichiarato
di aver saputo del blitz dai media, ha lanciato un appello al dialogo, ma il movimento
integralista antigovernativo di Jamaa Islamyia, in un comunicato ha minacciato “una
rivoluzione in tutto il Paese”. Tra le vittime si contano anche un cameramen dell’emittente
britannica Skynews e una giornalista egiziana.
Olivier Bonnel ha intervistato
il vescovo cattolico di Assiut, William Kiryllos:
R. - Ci aspettavamo
la reazione degli islamisti a ciò che sta facendo la polizia in questo momento; li
stanno mandando via dai luoghi delle loro manifestazioni. La prima reazione è stata
quella di dire al mondo occidentale e americano: “Il Paese non può andare avanti senza
di noi!”. Poi la seconda reazione è stata quella di chiedere l’intervento del mondo
occidentale. Ma noi siamo sicuri che questa è la fine degli islamisti, perché l’Egitto
non accetta uno Stato religioso, ciò che invece volevano gli islamisti. L’Egitto non
accetta uno Stato islamico; vuole separare la religione dello Stato.
D. - Ci
sono stati vari attacchi contro le chiese in diverse parti del Paese …
R. -
Stiamo seguendo ciò che capita soprattutto a Minya e a Sohag dove hanno bruciato la
cattedrale ortodossa. Ad Assiut, grazie al Signore - forse perché la presenza della
polizia e dell’esercito è molto sentita - non c’è stato alcun attacco contro le chiese:
hanno lanciato solo qualche pietra contro la cattedrale ortodossa.
D. - È possibile
- secondo lei - leggere il futuro dell’Egitto in questi momenti?
R. - Adesso,
il presidente provvisorio, il nuovo governo e il comitato stanno preparando la Costituzione,
dopo ci saranno le elezioni parlamentari e infine quelle presidenziali. Dopo la rivoluzione
del 25 gennaio speravamo che il primo passo fosse la nuova Costituzione e che poi
venissero le elezioni. Purtroppo gli islamisti hanno condizionato a tal punto la giunta
militare che hanno fatto le elezioni prima della Costituzione. Quindi è stata redatta
una Costituzione che non rappresenta gli egiziani, una Costituzione interamente di
stampo religioso. Da qui è venuta tutta la delusione della popolazione: il presidente
aveva fatto tante promesse, ma nulla di ciò che aveva promesso è stato realizzato.
La popolazione si è accorta che il presidente stava lavorando per gli interessi del
suo partito e non per l’Egitto. Ora speriamo in un futuro migliore per l’Egitto.
Sulla
situazione, ascoltiamo anche il missionario comboniano Giuseppe Scattolin,
raggiunto telefonicamente al Cairo da Davide Maggiore:
R. – Si condanna
la violenza – questo è un tema di lunga data – da qualsiasi parte si aprano negoziati,
colloqui, negoziati per risolvere varie questioni; purtroppo, stiamo vivendo una giornata
di scontro tra due forze, e da tutte e due le parti – purtroppo – ci sono armi che
girano e non sappiamo come andrà a finire. Evidentemente, tutte le religioni devono
condannare la violenza!
D. – Arrivando adesso alla situazione che voi vivete,
abbiamo visto in queste settimane le piazze contrapposte, ma quale atteggiamento sta
tenendo la popolazione civile in questi giorni e in queste ore così drammatiche?
R.
– Partendo dalla dimostrazione del 30 giugno, è chiaro che la maggior parte della
popolazione dell’Egitto ha rifiutato il governo dei Fratelli musulmani; e quindi era
chiaro che c’era un orientamento a riprendere veramente un cammino democratico che
era fallito con il governo dei Fratelli musulmani. Quindi c’era campo – io credo –
per chi volesse il dialogo, per entrare in dialogo: tutti erano chiamati, anche i
Fratelli quindi, a partecipare a questo processo di vera democrazia. Per varie cause,
una parte ha rifiutato e è ricorsa, piuttosto, ad un certo tipo di violenza.
D.
– Ma perché la popolazione, il fronte laico, insomma, non è riuscito ad unirsi, ad
esprimere una leadership unitaria, a suo parere?
R. – Questo riguarda piuttosto
la prima fase: a suo tempo l’esercito, come è stato anche in Tunisia, seguendo un
vero processo democratico, avrebbe dovuto lasciare il potere e consegnare il procedimento
civile a delle parti civili, come la parte giudiziaria, come ha fatto ora …
D.
– Però, in questo momento sono in corso delle violenze che fanno temere per il peggio
…
R. – Sì: non so se questo fosse l’unico modo di fare, quello di non discutere;
però, ci troviamo di fronte ad una dimostrazione armata, con molti estranei all’Egitto
che sono venuti, si sono accampati per combattere in favore del sistema precedente!
Ci sono dentro siriani, palestinesi, estremisti islamici …
D. – Voi come cristiani,
come vivete questa situazione?
R. – I cristiani sono sempre la parte debole
della società; hanno molti problemi, ereditati dal passato… I cristiani sono certamente
sotto pressione e si sperava che potessero riacquistare una posizione all’interno
della società, all’interno di un sistema democratico di rispetto dei diritti umani
per tutti, secondo un metodo democratico.