Dopo tre anni di stallo riprendono i negoziati di pace israelo-palestinesi
C’è grande attesa per la ripresa dei colloqui di pace tra israeliani e palestinesi
oggi a Gerusalemme, dopo circa tre anni di stallo. Alla vigilia dell'incontro, la
liberazione di 26 detenuti palestinesi e l’annuncio dell'approvazione della costruzione
di nuove colonie ebraiche nei territori occupati. Nella notte si sono segnalati raid
dell’aviazione israeliana su Gaza, dopo il lancio di missili da parte palestinese.
Del contesto attuale e delle opportunità in gioco per una svolta nel conflitto israelo-palestinese,
Fausta Speranza ha parlato con Germano Dottori, docente di Studi strategici
all’Università Luiss:
R. – Secondo
me, gli israeliani si rendono conto che si trovano in una posizione di relativa forza
– sicuramente, la posizione migliore da un anno e mezzo a questa parte – e credo che
stiano tentando di impostare la trattativa da basi ancora più favorevoli. Io vedo
Gaza e Hamas in una situazione di straordinaria debolezza; d’altro canto, a Nord,
l’Hezbollah ha da fare in Siria e ha poche risorse disponibili per trattare la questione
israeliana.
D. – Questo è il contesto. Ma diciamo di che cosa si andrà a parlare
immediatamente, in questa ripresa di negoziati?
R. – Le cose di cui si dovrebbe
discutere sono molte, ma la cosa fondamentale è che l’intero processo negoziale dovrebbe
sfociare nella costituzione di uno Stato palestinese accanto allo Stato ebraico, riconosciuto
da quest’ultimo, cioè anche da quest’ultimo. E in questo momento, esiste un
allineamento geopolitico nella regione che è molto promettente, perché per la prima
volta dopo molto tempo gli israeliani si trovano allineati all’Arabia Saudita e alla
Turchia. Ora, tutto questo significa che gli israeliani possono contare sulla collaborazione
di alcune potenze del mondo musulmano che, in precedenza, si trovavano dall’altro
lato della barricata. Ad esempio, non mi stupisce che, in questo quadro, sia i raid
condotti su Gaza, che la stessa vicenda dei nuovi insediamenti a Gerusalemme Est,
non siano stati stigmatizzati più di tanto dal grosso della stampa araba legata all’Arabia
Saudita, e tanto meno dalla Turchia. In Turchia c’è chi contesta l’atteggiamento di
basso profilo tenuto in questa vicenda dal premier Erdogan; io, invece, me lo spiego
proprio con il grande allineamento che è venuto a determinarsi. Che poi, in realtà,
deriva tutto dalla questione siriana e dai rapporti con l’Iran.
D. – Avevamo
l’impressione che la questione israelo-palestinese stesse là, un po’ latente, in attesa
di altri sviluppi in Medio Oriente; invece, può accadere che la ripresa dei negoziati
diventi proprio una messa in moto di qualcos’altro, perché davvero questo Medio Oriente
si presenti diverso?
R. – Diciamo che ci sono tante cose concatenate. A mio
avviso, l’evento che ha messo in moto tutto è la guerra di Siria e la straordinaria
difficoltà che è stata incontrata da coloro che sostengono la lotta contro Assad a
riportare la vittoria; tutto il resto segue: il coinvolgimento israeliano di fatto,
nella lotta ad Assad, potrebbe cambiare gli equilibri sul terreno ed è diventato quindi
molto prezioso. Io mi spiego anche attraverso quest’ottica la circostanza che, per
esempio, l’Arabia Saudita e diversi Paesi della Lega Araba non insistano più sul ritorno
alle frontiere ante-Guerra dei Sei Giorni del 1967, che in precedenza erano un tabù.
E’ molto interessante quello che sta succedendo e spazio per sperare – a mio avviso
– c’è. Naturalmente, su una cosa bisogna essere chiari: non è che un accordo tra israeliani
e palestinesi segnerebbe per forza l’avvento di un’era di pace in Medio Oriente; sarebbe
un altro tassello, un tassello molto importante, ma che sicuramente non sarebbe sufficiente
a stabilizzare l’intera regione che è in ebollizione per una quantità di ragioni differenti.