In Egitto è allarme discriminazione per i cristiani, in migliaia in fuga dal Paese
In Egitto ancora alta la tensione tra governo ad interim e sostenitori dell’ex presidente
Morsi. Secondo un generale dell’esercito entro le prossime 24 ore inizierà lo sgombero
delle piazze Rabaa e Nahda occupate dai sostenitori del capo di stato destituito.
La polizia ha già iniziato il blocco delle strade adiacenti. Profondamente preoccupato
per la situazione si è detto il segretario generale delle Nazioni Unite, Ban Ki-moon,
mentre l’ex presidente dell’Aiea Mohammed El Baradei ha criticato le parti invitandole
a concentrarsi sugli obbiettivi originari della rivoluzione: libertà, dignità umana,
giustizia sociale, abbattimento della tirannia. Intanto è allarme anche per la comunità
cristiana, il 10% della popolazione, verso la quale si moltiplicano gli episodi di
discriminazione. Michele Raviart ne ha parlatocon Marta Petrosillo,
portavoce di “Aiuto alla Chiesa che soffre”:
R. - La comunità
cristiana in Egitto oggi è davvero molto preoccupata perché temeva - e purtroppo gli
episodi lo confermano - di divenire il “capro espiatorio” del nervosismo e del desiderio
di vendetta dei "Fratelli Musulmani". Nei giorni delle proteste in Egitto tantissimi
cristiani hanno detto: “Abbiamo paura perché adesso non sappiamo cosa potrà succederci”.
D.
- Quali sono le discriminazioni che hanno subito?
R. - E’ stata issata una
bandiera di Al Qaeda sopra una Chiesa, mentre i fedeli si rifugiavano all’interno;
è stato ucciso un sacerdote nel Sinai e pochi mesi fa il caso emblematico di due bambini
accusati di blasfemia e prima dell’avvento dei Fratelli Musulmani non si era mai parlato
di accuse di blasfemia. Anche la nuova Costituzione è stata una ferita alla comunità
cristiana: le Chiese cristiane hanno ritirato i propri rappresentanti dall’Assemblea
Costituente perché il testo apriva a possibili discriminazioni.
D. - I sostenitori
dei Fratelli Musulmani accusano i cristiani di aver contribuito alla caduta di Morsi.
Qual è la loro posizione in questa crisi?
R. - La Chiesa non ha messo il veto
alla partecipazione dei cristiani alle manifestazioni anti Morsi; ognuno è stato libero
di scendere in piazza oppure meno. Sicuramente la comunità cristiana è sempre stata
molto titubante sin dall’inizio: l’anno scorso a giugno, quando c’è stato il ballottaggio
tra Morsi e il generale Shafiq, la maggior parte dei cristiani ha votato per Shafiq...
Anche se un controllo da parte dell’esercito può limitare la libertà, un partito estremista
può portare ad una limitazione ulteriore della libertà religiosa alla comunità cristiana.
Di fatto viene considerata una "comunità di serie B".
D. - Sedici organizzazioni
per i diritti umani egiziane hanno accusato le autorità di non proteggere abbastanza
questa comunità, sia per quanto riguarda la loro incolumità, sia per quanto riguarda
la loro libertà di professare la loro fede…
R. - Purtroppo è vero. Sicuramente
con una condizione caotica, come quella dell’Egitto oggi, è anche difficile garantire
sicurezza ai cristiani che - essendo minoranza - sono molto più vulnerabili. Questa
è una situazione che purtroppo non si verifica solamente ora, ma già da più di un
anno tantissimi copti hanno lasciato l’Egitto. È difficile in questi casi avere delle
stime esatte, ma si parla addirittura di 100 mila cristiani che hanno abbandonato
l’Egitto proprio per paura.