Negoziati per il Medio Oriente: il ruolo dell'Iran nel dialogo tra israeliani e palestinesi
Il 14 agosto a Gerusalemme comincerà la prima fase dei negoziati tra israeliani e
palestinesi, con la mediazione degli Stati Uniti. Le trattative, riavviate dopo uno
stop di tre anni, coinvolgono indirettamente tutti i Paesi della regione. Tra questi
l’Iran, avversario storico di Israele, che proprio in questi giorni sta vivendo una
nuova fase politica dopo l’insediamento del neo presidente Rohani. Sulle implicazioni
di questo cambio istituzionale, Michele Raviart ha intervistato Maria Grazia
Enardu, docente di storia delle relazioni internazionali all’Università di Firenze.
R. - Il fatto
che ci sia un nuovo presidente come Rohani, che ha toni molto diversi da quelli
del suo predecessore, toglie a Israele la priorità Iran – che ha sempre avuto in questi
anni – e quindi porta in primo piano la priorità Palestina, perché esiste un accordo
di pace. L’intera regione, in particolare tutto quanto fa perno intorno ad Israele,
è sempre molto instabile.
D. – Nel suo discorso di inaugurazione, Rohani si
è scagliato contro le colonie israeliane in Cisgiordania, lo stesso ha fatto l’Unione
Europea. E’ ancora quello il nodo cruciale?
R. – Purtroppo sì, perché alla
fine qualunque trattato di pace ci sia tra Israele e Palestina, qualsiasi siano gli
accordi accessori, alla fine bisognerà stabilire una linea di confine. Per il mondo
arabo, la linea di confine dev’essere praticamente identica alla linea precedente
alla Guerra dei Sei Giorni; Israele, nel frattempo, ha costruito moltissimo e continua
a costruire anche in questi giorni e quindi c’è lo scontro tra la politica dei fatti
compiuti – che Israele non intende fermare e men che meno cancellare – e le richieste
palestinesi, arabe, musulmane di un ritorno a quanto di più vicino ci sia allo status
quo ante.
D. – In generale, Rohani sembra essere più aperto verso gli Stati
Uniti, mentre Khamenei lo ha subito redarguito … Qual è il rapporto di potere all’interno
dell’Iran?
R. – In Iran comanda la guida spirituale Khamenei. E’ anche vero
che c’è sempre stato un rapporto dialettico tra la guida spirituale e il presidente
e infatti, ai tempi di Ahmadinejad il rapporto era molto brusco. Rohani è un clerico
e un diplomatico e un uomo di grande esperienza che ha chiaramente le due componenti
dell’Iran – quella politica e quella religiosa – si stanno un po’ prendendo le misure,
però è anche vero che Rohani è il risultato di un processo elettorale molto particolare,
perché i candidati – tutti – sono stati approvati dal Consiglio dei saggi nominato
da Khamenei e alla fine l’elettorato iraniano ha preso quello che gli pareva il meno
peggio, e da questo punto di vista Rohani è un’ottima scelta: perché è una scelta
dell’establishment religioso e contemporaneamente, è una scelta popolare.
D.
– Le aperture al dialogo sul nucleare sono dunque credibili?
R. – E’ credibile
perché Rohani è un moderato, ma soprattutto perché lui ha già condotto in passato
– una decina di anni fa – negoziati con gli americani che poi andarono come andarono.
Cioè, lui è un esperto sia da un punto di vista che possiamo definire tecnico, sia
da un punto di vista politico-diplomatico. Essendo un esperto, non dovrà imparare
la materia, conosce molto bene le mosse, anche se l’amministrazione Obama è diversa
dall’amministrazione Bush; e soprattutto, nel suo discorso di inaugurazione ha detto
una cosa molto importante: che l’Iran è un Paese che vuole rispetto, anche perché
è un grande Paese, con una grande storia, una grande tradizione e non lo si può trattare
come un soggetto assolutamente ininfluente, neanche su un tema così sensibile.
D.
– Oggi Khamenei è intervenuto sulla situazione egiziana: ha detto che bisogna in qualche
modo scongiurare la guerra civile. Che ruolo può avere nella crisi egiziana, l’Iran?
R.
– Sono mondi completamente diversi. E’ chiaro che qualunque disordine di un Paese
molto grande come l’Egitto, non può che trasferirsi anche nell’area di un altro Paese
grande come l’Iran. L’Iran ha bisogno di stabilità, anche all’esterno, anche nella
regione, perché ha gravi problemi economici e quindi qualunque cosa accentui l’instabilità
costa al cittadino iraniano molto più di quanto si possa permettere.