Yemen: allarme di Obama. "La minaccia del terrorismo è significativa"
Apparizione in tv ieri per il presidente americano Obama che è tornato a difendere
la decisione degli Stati Uniti di chiudere 28 ambasciate e consolati in Paesi musulmani
per il timore di attacchi. Pericolo soprattutto in Yemen, Washington ha esortato i
suoi connazionali a lasciare il Paese, considerato una base di Al Qaeda. Chiusure
anche per altre ambasciate europee. Benedetta Capelli:
L’allerta
è alta e dunque è necessario mettere in campo ogni misura per prevenire attacchi terroristici.
E’ il cuore del discorso del presidente americano Obama che ieri, in un talk show
televisivo, ha ricordato che “la minaccia è significativa e l'estremismo radicale
e violento c’è ancora”. Difende così la decisione di chiudere ambasciate e consolati
in Paesi musulmani e di aver lanciato l’allarme per il personale diplomatico presente
in Yemen. Al momento – fanno sapere da Washington - non c’è alcun piano per evacuare
i cittadini americani dal Paese ma intanto il Pentagono ha ordinato l'allontanamento
del personale dell'aeronautica presente in Yemen. L’allerta è condivisa anche dalla
Gran Bretagna che, dopo aver evacuato l'ambasciata a Sanaa, ha anche diramato il più
alto livello di allarme possibile a tutte le navi che transitano a largo delle coste
yemenite. Proprio a Sanaa, Francia e Italia hanno disposto la chiusura delle loro
sedi diplomatiche. Timori ieri a Milano dove il consolato americano è stato evacuato
per un allarme bomba; allarme poi rientrato. A preoccupare – secondo fonti di stampa
– non sono solo le intercettazioni tra i capi di Al Qaeda ma la scoperta che l'organizzazione
terroristica sarebbe riuscita a sviluppare un nuovo esplosivo liquido non rilevabile
da alcun sistema di controllo negli aeroporti. Una notizia che avrebbe allertato l’amministrazione
Obama, negli ultimi dieci giorni, infatti si sono intensificati gli attacchi con
droni contro le basi di Al Qaeda in Yemen.
Proprio sull’allerta lanciata dagli
Stati Uniti, Benedetta Capelli ha intervistato Nicola Pedde, direttore
dell'Institute for Global Studies:
R. - Da una
parte, c’è un’intercettazione che porta ad una generica indicazione di minaccia e
dall’altra, c’è una più precisa indicazione di minaccia sullo Yemen, in quanto si
ritiene che il nuovo commander dell’organizzazione sia interessato a fare delle
azioni dimostrative. In tutto questo, c’è da aggiungere che lo Yemen è un terreno
di combattimento nella lotta ad Al Qaeda anche da parte degli americani; quindi, questa
azione ovviamente contribuisce ad innescare quel clima di tensione che da tempo caratterizza
la sicurezza del Paese. In questi mesi, si è parlato poco dello Yemen, ma la struttura
della sicurezza e l’instabilità è cresciuta enormemente nel corso dell’ultimo anno
e mezzo.
D. - Gli Stati Uniti, nell’allerta lanciata hanno parlato del timore
di disordini sociali, perché Al Qaeda è molto attiva. Ma, in che modo, il terrorismo
potrebbe agire al di là degli attacchi e degli agguati?
R. - Al di là degli
attentati, come quelli alle strutture visibili, agli obiettivi concreti come le ambasciate,
quello che viene temuto in questo momento è che gli attacchi condotti con i droni
possano essere utilizzati e strumentalizzati da Al Qaeda nei confronti di una protesta
anti-americana e più in generale anti-occidentale. C’è da dire che c’è un grande dibattito
su questa strategia di condurre attacchi con i droni, in quanto se da un lato si sono
rivelati strumenti molto precisi nel poter individuare e soprattutto seguire silenziosamente
gli spostamenti delle unità sospette sul terreno, dall’altra poi le operazioni di
fuoco condotte con i droni hanno causato enormi danni collaterali e in modo particolare
la perdita di vite civili. E questo ovviamente è un fattore che ha determinato una
crescente ondata di protesta in Yemen così come negli altri Paesi dove comunque questo
tipo di operazioni vengono condotte regolarmente. Mi riferisco in modo particolare
al Pakistan.
D. - Lo Yemen è da sempre considerato una base di Al Qaeda. Ma
il governo di Sana’a non ha fatto mai passi avanti per quanto riguarda la lotta al
terrorismo?
R. - C’è da dire che il governo di Sana’a si trova in una situazione
molto particolare, nel senso che la transizione degli ultimi 15 mesi ha portato ad
una fase di pacificazione interna relativa, ma - di fatto - è ancora in corso uno
scontro violento sotto il profilo politico tra alcuni dei principali clan che storicamente
hanno dominato il Paese. Il governo è stato latitante su tutto ciò che riguarda la
lotta al terrorismo proprio perché impegnato in una diatriba interna che è poi espressione
- andando a restringere il campo di indagine - più che altro di una faida tribale.
D.
- Molto spesso, negli anni scorsi, abbiamo parlato di una regionalizzazione di Al
Qaeda. Però, da queste ultime allerte sembra invece che la politica della rete terroristica
sia in realtà globale. Quindi, oggi, Al Qaeda effettivamente che cos’è?
R.
- È molto difficile dire cosa sia Al Qaeda oggi. È rimasto sicuramente un "brand";
è rimasto sicuramente un nome legato ad un’organizzazione ancora esistente. Quanto
questa organizzazione abbia la capacità di controllare nella periferia le organizzazioni
che si richiamano al modello qaedista è estremamente difficile. Abbiamo una proliferazione
di organizzazioni che dal Maghreb, all’Asia centrale, fino all’Europa si proclamano
aderenti alla rete qaedista, ma poi esistono poche prove di un’effettiva capacità
di coordinamento e soprattutto di controllo da parte della centrale originale - da
parte di quella che dovrebbe essere riconducibile ad Al Zawahiri - su queste organizzazioni.
Quindi una forte identità qaedista, ma probabilmente un debole - se non spesso assente
- reale capacità di coordinamento sul territorio.