2013-08-07 08:00:17

Yemen: allarme di Obama. "La minaccia del terrorismo è significativa"


Apparizione in tv ieri per il presidente americano Obama che è tornato a difendere la decisione degli Stati Uniti di chiudere 28 ambasciate e consolati in Paesi musulmani per il timore di attacchi. Pericolo soprattutto in Yemen, Washington ha esortato i suoi connazionali a lasciare il Paese, considerato una base di Al Qaeda. Chiusure anche per altre ambasciate europee. Benedetta Capelli:RealAudioMP3

L’allerta è alta e dunque è necessario mettere in campo ogni misura per prevenire attacchi terroristici. E’ il cuore del discorso del presidente americano Obama che ieri, in un talk show televisivo, ha ricordato che “la minaccia è significativa e l'estremismo radicale e violento c’è ancora”. Difende così la decisione di chiudere ambasciate e consolati in Paesi musulmani e di aver lanciato l’allarme per il personale diplomatico presente in Yemen. Al momento – fanno sapere da Washington - non c’è alcun piano per evacuare i cittadini americani dal Paese ma intanto il Pentagono ha ordinato l'allontanamento del personale dell'aeronautica presente in Yemen. L’allerta è condivisa anche dalla Gran Bretagna che, dopo aver evacuato l'ambasciata a Sanaa, ha anche diramato il più alto livello di allarme possibile a tutte le navi che transitano a largo delle coste yemenite. Proprio a Sanaa, Francia e Italia hanno disposto la chiusura delle loro sedi diplomatiche. Timori ieri a Milano dove il consolato americano è stato evacuato per un allarme bomba; allarme poi rientrato. A preoccupare – secondo fonti di stampa – non sono solo le intercettazioni tra i capi di Al Qaeda ma la scoperta che l'organizzazione terroristica sarebbe riuscita a sviluppare un nuovo esplosivo liquido non rilevabile da alcun sistema di controllo negli aeroporti. Una notizia che avrebbe allertato l’amministrazione Obama, negli ultimi dieci giorni, infatti si sono intensificati gli attacchi con droni contro le basi di Al Qaeda in Yemen.

Proprio sull’allerta lanciata dagli Stati Uniti, Benedetta Capelli ha intervistato Nicola Pedde, direttore dell'Institute for Global Studies: RealAudioMP3

R. - Da una parte, c’è un’intercettazione che porta ad una generica indicazione di minaccia e dall’altra, c’è una più precisa indicazione di minaccia sullo Yemen, in quanto si ritiene che il nuovo commander dell’organizzazione sia interessato a fare delle azioni dimostrative. In tutto questo, c’è da aggiungere che lo Yemen è un terreno di combattimento nella lotta ad Al Qaeda anche da parte degli americani; quindi, questa azione ovviamente contribuisce ad innescare quel clima di tensione che da tempo caratterizza la sicurezza del Paese. In questi mesi, si è parlato poco dello Yemen, ma la struttura della sicurezza e l’instabilità è cresciuta enormemente nel corso dell’ultimo anno e mezzo.

D. - Gli Stati Uniti, nell’allerta lanciata hanno parlato del timore di disordini sociali, perché Al Qaeda è molto attiva. Ma, in che modo, il terrorismo potrebbe agire al di là degli attacchi e degli agguati?

R. - Al di là degli attentati, come quelli alle strutture visibili, agli obiettivi concreti come le ambasciate, quello che viene temuto in questo momento è che gli attacchi condotti con i droni possano essere utilizzati e strumentalizzati da Al Qaeda nei confronti di una protesta anti-americana e più in generale anti-occidentale. C’è da dire che c’è un grande dibattito su questa strategia di condurre attacchi con i droni, in quanto se da un lato si sono rivelati strumenti molto precisi nel poter individuare e soprattutto seguire silenziosamente gli spostamenti delle unità sospette sul terreno, dall’altra poi le operazioni di fuoco condotte con i droni hanno causato enormi danni collaterali e in modo particolare la perdita di vite civili. E questo ovviamente è un fattore che ha determinato una crescente ondata di protesta in Yemen così come negli altri Paesi dove comunque questo tipo di operazioni vengono condotte regolarmente. Mi riferisco in modo particolare al Pakistan.

D. - Lo Yemen è da sempre considerato una base di Al Qaeda. Ma il governo di Sana’a non ha fatto mai passi avanti per quanto riguarda la lotta al terrorismo?

R. - C’è da dire che il governo di Sana’a si trova in una situazione molto particolare, nel senso che la transizione degli ultimi 15 mesi ha portato ad una fase di pacificazione interna relativa, ma - di fatto - è ancora in corso uno scontro violento sotto il profilo politico tra alcuni dei principali clan che storicamente hanno dominato il Paese. Il governo è stato latitante su tutto ciò che riguarda la lotta al terrorismo proprio perché impegnato in una diatriba interna che è poi espressione - andando a restringere il campo di indagine - più che altro di una faida tribale.

D. - Molto spesso, negli anni scorsi, abbiamo parlato di una regionalizzazione di Al Qaeda. Però, da queste ultime allerte sembra invece che la politica della rete terroristica sia in realtà globale. Quindi, oggi, Al Qaeda effettivamente che cos’è?

R. - È molto difficile dire cosa sia Al Qaeda oggi. È rimasto sicuramente un "brand"; è rimasto sicuramente un nome legato ad un’organizzazione ancora esistente. Quanto questa organizzazione abbia la capacità di controllare nella periferia le organizzazioni che si richiamano al modello qaedista è estremamente difficile. Abbiamo una proliferazione di organizzazioni che dal Maghreb, all’Asia centrale, fino all’Europa si proclamano aderenti alla rete qaedista, ma poi esistono poche prove di un’effettiva capacità di coordinamento e soprattutto di controllo da parte della centrale originale - da parte di quella che dovrebbe essere riconducibile ad Al Zawahiri - su queste organizzazioni. Quindi una forte identità qaedista, ma probabilmente un debole - se non spesso assente - reale capacità di coordinamento sul territorio.







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