Pressing diplomatico degli Stati Uniti per risolvere la crisi in Egitto
Caos in Egitto, dove si moltiplicano gli attacchi contro i cristiani. Le violenze
sono iniziate dopo che l'attuale leader di al-Quaeda, al-Zawahiri, ha accusato i copti
di aver ordito insieme agli Stati Uniti e all'esercito egiziano un “complotto” per
destituire il presidente Mohamed Morsi. Negli ultimi giorni, assalti a chiese e abitazioni
dei copti si sono susseguiti in tutto il Paese. Intanto, proprio il ministro della
Difesa statunitense, Chuck Hagel, ha fatto appello per l'avvio di un processo politico
inclusivo in Egitto nel corso di una telefonata con Abdel-Fatah al-Sisi, ministro
della Difesa egiziano e uomo forte del dopo-Morsi. Lo riferisce l'agenzia "Mena" citando
una nota del Pentagono. Salvatore Sabatino ha chiesto all’americanista Nicola
Perrone come valutare questo pressing diplomatico di Washington:
R. – E’ difficile
valutarlo all’indomani di quello che si è mancato di fare per anni: gli Stati Uniti
hanno perso il controllo di una zona che avevano saputo tenere in pugno, e ora si
sono scatenate forze diverse e contrapposte che non riescono più a gestire.
D.
– Gli Stati Uniti, però, continuano a puntare sull’Egitto riconoscendo un grande ruolo
di mediazione a questo Paese: secondo lei, è ancora un attore attendibile?
R.
– L’Egitto può essere un attore, può essere un elemento di stabilizzazione nella zona,
ma a condizione di avere un governo che sia, non voglio dire filo-occidentale, ma
per lo meno un po’ aperto nei riguardi dei traffici, degli interessi, della politica
dell’Occidente. E questo si è perduto completamente un po’ in tutta l’area del Nord
Africa! Bisogna lavorare per ricostituirlo.
D. – E in che modo gli Stati Uniti
possono proporre un nuovo modello di collaborazione?
R. – Credo che debbano
rinunciare ad un atteggiamento da "maestri in tutte le situazioni", e applicarsi molto
di più agli scambi, anche di carattere commerciale, dietro ai quali vendono anche
i buoni rapporti diplomatici, e rinunciare ad avere loro una parola definitiva in
tutte le situazioni, perché è molto tempo che non riescono più ad averla. E specialmente
in quella zona, mi pare molto difficile che possano averla.
D. – Gli Stati
Uniti concorrono, dal punto di vista finanziario, alla tenuta dell’esercito egiziano:
questa decisione influisce sugli equilibri del Paese …
R. – Questo di aver
sostenuto e finanziato gli eserciti lo hanno fatto anche da altre parti, ed è un meccanismo
che qualche volta ha funzionato, ma che ha funzionato quando c’era il controllo politico
attraverso una diplomazia molto diversa. E poi, gli eserciti non funzionano più come
avrebbero dovuto funzionare in passato; oltretutto, gli eserciti possono anche fare
degli ‘scherzi’, operare dei capovolgimenti completi di facciate, di alleanze, di
prospettive. La situazione a me sembra molto complessa.