20.mo della "Veritatis Splendor". Don Bux: segnò passaggio da moralismo a moralità
La risposta al relativismo morale, il rapporto tra libertà umana e legge divina, il
valore della coscienza davanti a Dio. Sono solo alcuni dei cardini sui quali Giovanni
Paolo II impostò la sua Enciclica Veritatis Splendor, che il 6 agosto di 20
anni fa veniva promulgata. Un testo che asserisce che le verità assolute sono accessibili
ad ogni persona e dunque attualissimo in un contesto culturale che spesso sostiene
il contrario. Alessandro De Carolis ne parla in questa intervista con il teologo
don Nicola Bux, consultore della Congregazione per la Dottrina della Fede:
R. – La Veritatis
Splendor costituisce una pietra miliare nel campo della teologia morale cattolica
e non solo cattolica. D’altronde, le parole “Veritatis Splendor” sono in tema con
la Trasfigurazione, a voler quasi sottolineare che la verità non è innanzitutto un
concetto astratto, ma è una Persona, una Persona che risplende: Gesù Cristo.
D.
– Lei parla di questa Enciclica come di una “pietra miliare”: che strada, questa pietra
miliare, ha segnato in vent’anni?
R. – Direi, per certi versi, il passaggio
da un “moralismo” ad una “moralità”. Il moralismo è qualcosa che poggia sul nostro
sforzo, la moralità invece è il risultato di un attingere alla sorgente. Per cui –
per quanto riguarda il cristiano – sempre la tentazione del moralismo c’è, cioè di
farci da noi stessi, mentre invece noi siamo fatti: siamo fatti morali. E bisogna
dire subito che la moralità cristiana attinge ai Sacramenti, cioè sono i Sacramenti
che cambiano l’uomo, non è lo sforzo suo a farlo.
D. – Uno dei temi portanti
dell’Enciclica è la risposta al relativismo morale, una lotta in senso ampio portata
avanti negli ultimi anni in particolare da Benedetto XVI. C’è, però, a livello socioculturale
una sordità persistente, oggi, su questo argomento…
R. – Direi anche accresciuta,
perché certamente l’Enciclica è stata profetica, come d’altronde lo fu la Humanae
Vitae di Paolo VI, perché profeticamente significa che ha visto, ha preavvertito.
E quindi, ancora una volta il Papato si rivela come quella “sentinella” di cui parla
Gregorio Magno, che in lontananza avverte di ciò che si prepara all’orizzonte. Certamente,
siamo oggi in quello che viene definito un gravissimo disastro antropologico che,
più il tempo passa, più mostra effetti deleteri che si allargano.
D. – Nell’Enciclica
si parla anche dell’importanza della coscienza che l’uomo deve seguire per giungere
ad applicare le leggi di Dio nella propria vita. Da tempo, invece, il giudizio della
propria coscienza viene spesso considerato alternativo a Dio…
R. – E’
chiaro che la coscienza oggi è intesa nel senso di “faccio quello che mi pare” e quindi
è un arbitrio assolutamente sganciato dal riferimento a Dio. Il punto è che la coscienza
dell’uomo, oggi, è obnubilata, è offuscata. Certo, alla Chiesa e al Papato incomberà
sempre la responsabilità di richiamare il primato della coscienza contro ogni tipo
di relativismo e soprattutto – come ha detto Papa Francesco recentemente – di custodire
e salvaguardare l’uomo che è continuamente attaccato da quelli che oggi vengono spacciati
per diritti, ma che in realtà sono solamente capricci.
D. – Possiamo dire che,
vent’anni dopo, le affermazioni della Veritatis Splendor non hanno perso nulla
della loro forza?
R. – Giovanni Paolo II, come noto, aveva alle spalle una
solida preparazione filosofica e teologica, quanto alla morale. Quindi, potremmo dire
che era – per certi versi – il suo campo. E la Veritatis Splendor è stata l’Enciclica
che in qualche modo ha portato a compimento il suo percorso, e cioè quello di rileggere
– peraltro in continuità con tutta la tradizione della Chiesa – l’uomo nella luce
di Cristo. Perciò, la sua prima Enciclica fu la Redemptor Hominis e, alla luce
di quell’Enciclica programmatica, si è sviluppato poi il suo lunghissimo percorso
che costituisce da solo un monumento magisteriale con cui non si potrà non fare i
conti.