Iran: inizia l'era Rohani, prove di dialogo con l'Occidente
Il neo-presidente iraniano Hassan Rohani, durante il giuramento d’inizio mandato,
ha confermato che Teheran è disponibile a dialogare con l'Occidente e a dare prova
di trasparenza sul suo programma nucleare, come chiesto anche oggi dall’Ue, ma ha
avvertito che in questo dialogo va usata la lingua del “rispetto” reciproco e non
quello delle sanzioni e delle minacce belliche. Un segnale di apertura importante,
da parte di un Paese che continua ad essere strategico non solo per lo scacchiere
mediorientale. Salvatore Sabatino ne ha parlato con Riccardo Redaelli,
docente di Storia e Istituzioni del mondo islamico all'Università Cattolica di Milano:
R. - Non è il
presidente della Repubblica a decidere sul "file" nucleare, anche se Rohani ha una
grande esperienza, avendo fatto e diretto per anni queste trattative. In ogni caso,
è un’offerta che rivela anche la debolezza, il senso di difficoltà dovuto alle sanzioni
che è sempre più forte in Iran.
D. - Si può parlare, dunque, di un nuovo capitolo
della storia iraniana? L’era Ahmadinejad può essere veramente considerata ormai passata?
R.
- La disastrosa eredità di Ahmadinejad credo - ahimè - che continuerà ancora per qualche
anno, anche se molti ultraradicali sono stati marginalizzati. Il Paese, però, è molto
sfiduciato, è molto meno libero rispetto ad otto anni fa e Rohani ha fortissimi limiti;
lo si vede anche dall’estrema prudenza con la quale si sta muovendo per evitare di
suscitare reazioni da parte dei gruppi più vicini ai Pasdaran o agli altri riformisti.
D.
- Esistono anche degli elementi critici come, ad esempio, la stretta alleanza con
il regime siriano che continua comunque ad essere mantenuto in piedi …
R. -
La Siria è una necessità geo-strategica per l’Iran, e l’Iran la sta sostenendo fino
in fondo. A vantaggio dell’Iran e anche di Assad vi è la terribile trasformazione
dell’opposizione siriana sempre più dominata da gruppi jihadisti e qaedisti e sempre
meno guidata da sunniti moderati. Questa deriva radicale da un lato forza l’Iran nel
sostenere fino in fondo Bashar Al Assad, e dall’altro lato ne facilita il compito.
D.
- Rohani ha scelto come ministro degli esteri Javad Zarif, apprezzato dalle diplomazie
occidentali, già in prima linea nei tentativi di dialogo con gli Stati Uniti. Quanto
questa figura potrà aiutare a superare l’isolamento in cui vive attualmente la repubblica
islamica?
R. - Zarif è molto conosciuto in Iran. Fa parte del cosiddetto gruppo
di “quelli di New York”; è una persona estremamente ragionevole, moderata, che sa
fare bene il proprio lavoro … molto dipenderà dai margini di manovra che gli saranno
dati. Comunque questo è sicuramente un segnale positivo, e forse anche un’indicazione
che il leader Khamenei sta comprendendo che la contrapposizione totale con l’Occidente
non paga e che l’Iran dovrà cercare un compromesso.
D. - La Casa Bianca ha
salutato l’insediamento di Rohani in modo positivo; invece, da Israele il premier
Netanyahu ha ribadito il suo giudizio negativo. Può, questo, essere un elemento di
tensione tra Washington e lo Stato ebraico?
R. - Forse tra la Casa Bianca ed
Israele, perché il Congresso negli Stati Unti è forse ancora più estremista di Netanyahu
ed è rigidamente, radicalmente e ossessivamente anti-iraniano; Netanyahu - lo conosciamo
- ha fatto dell’Iran un'architrave della propria retorica. Tutto questo non aiuta
le trattative internazionali.