Giornata della Pace 2014. Mons. Giudici: globalizzare la fraternità
“Fraternità, fondamento e via per la pace”: sarà questo il tema della prossima Giornata
mondiale della Pace 2014, la prima celebrata da Papa Francesco. Federico Piana
ha chiesto a mons. Giovanni Giudici, vescovo di Pavia e presidente di Pax Christi
una riflessione a partire dalla famiglia, dove sperimentiamo la prima forma di fraternità.
R. – Coglie
un aspetto comune a tutti noi: tutti abbiamo l’esperienza della fraternità, nel senso
che tutti quanti cresciamo in famiglia e quindi sappiamo cos’è un fratello o una sorella.
Questo ci aiuta poi, certamente, ad applicare questa esperienza alla complessità della
nostra vita.
D. – Tante volte ci dimentichiamo di questo...
R. – Sì,
diciamo che ci sono degli aspetti che non riusciamo poi a tradurre nella concretezza
della nostra vita. Talvolta diamo per scontato questa fraternità e quindi la facciamo
diventare qualcosa che esigiamo dagli altri piuttosto che qualcosa che doniamo agli
altri. Certamente tutto questo ha a che fare con la pace, perché una fraternità che
costruisca la pace è una fraternità che va, certo, fondata sull’esperienza della nostra
fragilità, sull’esperienza della ricchezza che ogni incontro con qualcuno diverso
da noi, ma fratello, ma sorella, ci aiuta a vivere, e poi certamente va approfondita
e purificata, cercando di tradurre in atto questa uguaglianza che la fraternità ci
consegna.
D. – Possiamo dire che la cultura del benessere fa perdere questo
senso di responsabilità e della relazione fraterna?
R. – Certamente. Possedere
dei beni ci fa poi soprattutto preoccupati nel mantenerli e magari ci fa sentire una
sorta di antagonismo nei confronti degli altri, vuoi perché ne hanno di più o ne hanno
diversamente da noi, vuoi perché pare che ci portino via i nostri. Penso ancora che
il benessere ci metta in una condizione d’indifferenza nei confronti dell’altro. Una
persona sta bene e non si accorge che è anche lei nella fragilità: non si accorge,
non guarda, non vede chi è nella sofferenza o nella penuria. E poi, in un certo senso,
tutto questo diventa anche un sentimento, talvolta, purtroppo, sociale, di paura dello
straniero, di chi è diverso, di chi ha costumi diversi dai miei. Il possedere io le
cose, il non avere bisogno degli altri mi fa poi incapace di cogliere che magari l’altro
che arriva nel mio Paese ha bisogno di qualcosa.
D. – Come si può a questo
punto globalizzare la fraternità e non l’indifferenza, come ha più volte detto Papa
Francesco?
R. – Globalizziamo la fraternità quando ci educhiamo a pensare che,
proprio perché siamo tutti fratelli, figli di Dio, i beni che abbiamo ricevuto sulla
terra sono di tutti. In questo senso, quindi, l’esperienza religiosa, in particolare
quella cristiana, ma ogni esperienza religiosa, aiuta a globalizzare la fraternità.
Aiuta anche, poi, una certa maturità umana, che possiamo conquistare guardando attorno
a noi e guardando anche un po’ più lontano, magari - soprattutto noi europei, noi
italiani – guardando un po’ più lontano di quello che è il nostro vivere sociale,
la nostra presenza. In terzo luogo, anche il cercare di esprimere, attraverso le strutture
politiche e sociali, questo tipo di atteggiamento. Un Paese è più o meno capace di
fraternità, naturalmente, quando anche coloro che sono eletti, dei suoi cittadini,
sono capaci di vivere questo tema della fraternità con decisione.