Pet therapy: bimba in terapia intensiva al Gemelli salvata dal suo cane
Una bella storia a lieto fine. Si tratta del primo caso di pet-therapy in terapia
intensiva pediatrica nel Lazio e tra le prime esperienze di questo tipo conosciute
in Italia. Una bimba di dieci anni, affetta da mielite postinfettiva con una rara
forma di tetraplegia temporanea e depressione, è stata aiutata nelle cure dal suo
cane, Porthos, un cucciolo di golden retriver, e ora è guarita. Sull’argomento, Federica
Baioni ha intervistato il prof. Giorgio Conti, a capo dell’equipe medica
multidisciplinare di rianimatori pediatrici, neuropsichiatri infantili ed ematologi
del Policlinico Gemelli:
R. – Una bimba
di 10 anni, una bellissima bimba di 10 anni, ha avuto purtroppo una complicanza molto
molto seria. In seguito a una banale infezione ha avuto una mielite, cioè un’infiammazione
del midollo spinale per cui purtroppo è rimasta paralizzata – braccia, gambe e anche
i muscoli respiratori – ed è stato necessario connetterla a una macchina che la facesse
respirare. Così la bimba è piombata in uno stato depressivo profondissimo: si immagini
una bimba di 10 anni attivissima, che faceva danza e, che si ritrova tetraplegica
in un letto di terapia intensiva
D. – E’ intervenuto un medico speciale a salvarla:
ce lo può raccontare?
R. – Noi le avevamo provate tutte ma nonostante ci fossero
il papà e la mamma, che sono bravissimi, vicino a le, la bimba continuava – dal punto
di vista psicologico – a essere in uno stato terribile di depressione profondissima,
mutismo assoluto. Per cui, abbiamo pensato alla pet-therapy. Loro hanno un
cucciolo di cane, un golden retriver, che si chiama Portos, e abbiamo pensato – ovviamente
con l’ok della nostra direzione sanitaria – di provare a fare intervenire Portos.
E in effetti, con nostra grande gioia, fin dalla prima sessione di "pet therapy" la
bimba è migliorata dal punto di vista psicologico in maniera strepitosa: sia come
tono dell’umore, inizialmente, e poi nei giorni successivi – anche grazie, ovviamente,
alle cure tradizionali: questo non dobbiamo dimenticarlo – ha cominciato a fare un
recupero neurologico strepitoso, che ci ha lasciato senza parole. Abbiamo iniziato
a fare fisioterapia in maniera più aggressiva, siamo riusciti a staccarla dal ventilatore,
a farla respirare spontaneamente, e sempre con l’aiuto del nostro cucciolo siamo riusciti
– nel giro di un paio di mesi – a rimandarla a casa veramente guarita.
D. –
I genitori hanno accettato di buon grado questo vostro intervento, immagino…
R.
– Sì: la famiglia è una famiglia meravigliosa, che ha creduto in noi. Consideri che
per le cure di questa bimba siamo stati un’équipe multidisciplinare composta di rianimatori
pediatrici, di ematologi e di neurologi pediatrici. E loro erano legatissimi: è stata
veramente quella che si chiama un’alleanza terapeutica, per ottenere l’effetto massimale.
Ci hanno creduto e ci hanno supportato. Ovviamente, c’è una cosa molto importante
da dire, e bisogna dirla assolutamente, anche per il pubblico: non è che si può prendere
qualsiasi animale, metterlo in una terapia intensiva pediatrica, senza regole e sperare
di ottenere il risultato. La pet therapy si basa sul contatto con animali di piccola
taglia, se possibile, che siano assolutamente, perfettamente sani. Entrano con un
protocollo strettissimo, nel senso che devono essere visitati da un veterinario, devono
essere vaccinati, devono essere pulitissimi, vengono fatti transitare all’interno
della terapia intensiva su un carrello in modo che non debbano camminare per il reparto,
e poi stanno con il bimbo, lo fanno giocare, lo fanno sorridere… E’ stato il primo
caso che abbiamo trattato con la pet therapy: ci credevamo, per quello che
avevamo letto – negli Stati Uniti è abbastanza diffusa, anche nel nostro Paese, anche
se non nelle terapie intensive.
D. – E’ il primo caso nel Lazio di pet therapy
in terapia intensiva, vero?
R. – Sono al corrente di un programma di pet
therapy che è stato attivato anche a Milano in un altro ospedale pediatrico, e
credo che questi siano veramente i primissimi casi.
D. – Quanti casi in Europa
ci sono stati prima di questo nel Lazio, del vostro?
R. – In terapia intensiva
pediatrica credo si contino sulle dita di una, massimo due mani, perché veramente
è una cosa un po’ fuori dal comune. Invece noi abbiamo intenzione proprio di partire
con un programma di pet therapy, ovviamente con indicazioni molto precise,
insieme ai neurologi pediatrici: non è una cosa sulla quale fare trattamento senza
indicazioni precise, ovviamente. Rispettando le regole e con le dovute attenzioni,
io credo sia possibile ottenere buonissimi risultati per questi bimbi, che in terapia
intensiva pediatrica hanno già tanti problemi: riuscire a farli sorridere e riuscire
a farli tornare a giocare. Questo è un po’ lo scopo.
D. – Lei pensa che questo
tipo di esperienza possa essere declinata anche su un paziente adulto?
R. –
Assolutamente sì. C’è esperienza sull’adulto molto molto ampia negli Stati Uniti:
nelle linee guida della terapia intensiva è previsto che, se un paziente ricoverato
in terapia intensiva abbia un cane, un gatto o un animaletto a cui è affezionato,
possa ricevere la visita anche del suo cucciolo, del suo animale. Quindi, sull’adulto
è forse ancora più facile da realizzare che in terapia intensiva pediatrica.