2013-08-03 15:19:35

Pet therapy: bimba in terapia intensiva al Gemelli salvata dal suo cane


Una bella storia a lieto fine. Si tratta del primo caso di pet-therapy in terapia intensiva pediatrica nel Lazio e tra le prime esperienze di questo tipo conosciute in Italia. Una bimba di dieci anni, affetta da mielite postinfettiva con una rara forma di tetraplegia temporanea e depressione, è stata aiutata nelle cure dal suo cane, Porthos, un cucciolo di golden retriver, e ora è guarita. Sull’argomento, Federica Baioni ha intervistato il prof. Giorgio Conti, a capo dell’equipe medica multidisciplinare di rianimatori pediatrici, neuropsichiatri infantili ed ematologi del Policlinico Gemelli:RealAudioMP3

R. – Una bimba di 10 anni, una bellissima bimba di 10 anni, ha avuto purtroppo una complicanza molto molto seria. In seguito a una banale infezione ha avuto una mielite, cioè un’infiammazione del midollo spinale per cui purtroppo è rimasta paralizzata – braccia, gambe e anche i muscoli respiratori – ed è stato necessario connetterla a una macchina che la facesse respirare. Così la bimba è piombata in uno stato depressivo profondissimo: si immagini una bimba di 10 anni attivissima, che faceva danza e, che si ritrova tetraplegica in un letto di terapia intensiva

D. – E’ intervenuto un medico speciale a salvarla: ce lo può raccontare?

R. – Noi le avevamo provate tutte ma nonostante ci fossero il papà e la mamma, che sono bravissimi, vicino a le, la bimba continuava – dal punto di vista psicologico – a essere in uno stato terribile di depressione profondissima, mutismo assoluto. Per cui, abbiamo pensato alla pet-therapy. Loro hanno un cucciolo di cane, un golden retriver, che si chiama Portos, e abbiamo pensato – ovviamente con l’ok della nostra direzione sanitaria – di provare a fare intervenire Portos. E in effetti, con nostra grande gioia, fin dalla prima sessione di "pet therapy" la bimba è migliorata dal punto di vista psicologico in maniera strepitosa: sia come tono dell’umore, inizialmente, e poi nei giorni successivi – anche grazie, ovviamente, alle cure tradizionali: questo non dobbiamo dimenticarlo – ha cominciato a fare un recupero neurologico strepitoso, che ci ha lasciato senza parole. Abbiamo iniziato a fare fisioterapia in maniera più aggressiva, siamo riusciti a staccarla dal ventilatore, a farla respirare spontaneamente, e sempre con l’aiuto del nostro cucciolo siamo riusciti – nel giro di un paio di mesi – a rimandarla a casa veramente guarita.

D. – I genitori hanno accettato di buon grado questo vostro intervento, immagino…

R. – Sì: la famiglia è una famiglia meravigliosa, che ha creduto in noi. Consideri che per le cure di questa bimba siamo stati un’équipe multidisciplinare composta di rianimatori pediatrici, di ematologi e di neurologi pediatrici. E loro erano legatissimi: è stata veramente quella che si chiama un’alleanza terapeutica, per ottenere l’effetto massimale. Ci hanno creduto e ci hanno supportato. Ovviamente, c’è una cosa molto importante da dire, e bisogna dirla assolutamente, anche per il pubblico: non è che si può prendere qualsiasi animale, metterlo in una terapia intensiva pediatrica, senza regole e sperare di ottenere il risultato. La pet therapy si basa sul contatto con animali di piccola taglia, se possibile, che siano assolutamente, perfettamente sani. Entrano con un protocollo strettissimo, nel senso che devono essere visitati da un veterinario, devono essere vaccinati, devono essere pulitissimi, vengono fatti transitare all’interno della terapia intensiva su un carrello in modo che non debbano camminare per il reparto, e poi stanno con il bimbo, lo fanno giocare, lo fanno sorridere… E’ stato il primo caso che abbiamo trattato con la pet therapy: ci credevamo, per quello che avevamo letto – negli Stati Uniti è abbastanza diffusa, anche nel nostro Paese, anche se non nelle terapie intensive.

D. – E’ il primo caso nel Lazio di pet therapy in terapia intensiva, vero?

R. – Sono al corrente di un programma di pet therapy che è stato attivato anche a Milano in un altro ospedale pediatrico, e credo che questi siano veramente i primissimi casi.

D. – Quanti casi in Europa ci sono stati prima di questo nel Lazio, del vostro?

R. – In terapia intensiva pediatrica credo si contino sulle dita di una, massimo due mani, perché veramente è una cosa un po’ fuori dal comune. Invece noi abbiamo intenzione proprio di partire con un programma di pet therapy, ovviamente con indicazioni molto precise, insieme ai neurologi pediatrici: non è una cosa sulla quale fare trattamento senza indicazioni precise, ovviamente. Rispettando le regole e con le dovute attenzioni, io credo sia possibile ottenere buonissimi risultati per questi bimbi, che in terapia intensiva pediatrica hanno già tanti problemi: riuscire a farli sorridere e riuscire a farli tornare a giocare. Questo è un po’ lo scopo.

D. – Lei pensa che questo tipo di esperienza possa essere declinata anche su un paziente adulto?

R. – Assolutamente sì. C’è esperienza sull’adulto molto molto ampia negli Stati Uniti: nelle linee guida della terapia intensiva è previsto che, se un paziente ricoverato in terapia intensiva abbia un cane, un gatto o un animaletto a cui è affezionato, possa ricevere la visita anche del suo cucciolo, del suo animale. Quindi, sull’adulto è forse ancora più facile da realizzare che in terapia intensiva pediatrica.







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