L’Associazione Bambini Cardiopatici nel mondo festeggia 20 anni di impegno
Vent’anni di impegno in favore dei bambini con gravi patologie al cuore: è il traguardo
raggiunto dall’Associazione Bambini Cardiopatici nel Mondo (www.bambinicardiopatici.it).
Il sodalizio umanitario, nato a Milano, è presente in 26 Paesi e in questi anni ha
eseguito oltre 1600 operazioni salvavita e 4 mila diagnosi di bambini cardiopatici.
Alessandro Gisotti ha intervistato il fondatore dell’associazione, il prof.
Alessandro Frigiola, primario di Cardiochirurgia all’Ospedale San Donato di Milano:
R. - Le cardiopatie
congenite rappresentano la prima causa di morte tra tutte le malformazioni ed hanno
più di cinque milioni di bambini che aspettano di essere operati. Su richiesta di
moltissimi Paesi ho iniziato, nel 1993 – insieme alla dott.ssa Silvia Cirri – a collaborare
con l’Egitto, che è stato il primo Paese in cui ci siamo recati e dove abbiamo trovato
centinaia di bambini in attesa della nostra visita per cercare di trovare una soluzione
ai loro problemi.
D. – Guardando alla missione, oltre agli interventi veri
e propri c’è anche una dimensione di formazione…
R. – La formazione vede una
priorità assoluta e finora l’associazione – insieme al Policlinico San Donato – ha
offerto più di 300 borse di studio, della durata che va dai sei mesi ai due anni –
a 300 medici provenienti da 20 Paesi del mondo.
D. – E’ possibile tra le tante
storie, tra i tanti interventi che hanno salvato la vita a bambini in così tante parti
del mondo, c’è una storia che lei potrebbe raccontare e che in qualche modo sintetizza
e simboleggia l’esperienza e la missione della sua associazione?
R. – Fra le
varie storie - ovviamente ce ne sono tante – ricordo quella di un bambino quando eravamo
ad Alessandria d’Egitto: era il terzo figlio di una coppia che aveva già perso i primi
due per una cardiopatia congenita. Lo mettiamo sul tavolo operatorio e al momento
di aprire lo sterno - dopo averlo aperto, come si fa di solito per “incrociare” il
cuore - scopriamo che in quel grande centro non c’era il divaricatore per tenere aperto
lo sterno e fare l’intervento. Abbiamo avuto un momento di panico, nel senso che con
il torace già aperto non si poteva operare il bambino; quindi, ho messo due fili di
acciaio sullo sterno – uno a destra ed uno a sinistra – e due infermieri a destra
e sinistra tiravano per tenere aperto il torace finché io potessi operare.
D.
– Questo bambino ce l’ha fatta…
R. – L’intervento per fortuna è andato bene.
Adesso il bambino di questa coppia, dopo i due che invece erano deceduti, sta bene.
D. – Questo dà proprio il senso anche di una missione straordinaria: salvare
la vita di bambini che altrimenti non avrebbero alcuna possibilità.
R. – Assolutamente.
Per esempio per dare anche un’idea: in Egitto ed in Perù quando siamo arrivati la
mortalità che avevano loro per questo tipo di interventi era attorno al 50-60%; su
100 bambini che operavano ne morivano circa 60. Adesso, dopo anni di collaborazione
con noi e decine e decine di missioni, la mortalità è scesa al 20%.