2013-07-31 15:51:35

Israeliani e palestinesi, prove di pace. L'analista: Usa e Ue più decisi rispetto a prima


“Non ci sono alternative alla pace, la guerra non ha senso”. Questo il commento del presidente israeliano Peres all’indomani del via libera dei negoziati israelo-palestinesi, rimessi in piedi grazie alla mediazione degli Stati Uniti. Tra 9 mesi, ha detto il segretario di stato americano Kerry, si arriverà ad un’intesa di pace e alla definizione di due popoli in due Stati. Sostegno al dialogo dal capo della diplomazia Ue Ashton secondo la quale la conclusione definitiva del conflitto è a portata di mano. Al microfono di Michele Raviart, Antonio Ferrari, editorialista del Corriere della Sera:RealAudioMP3

R. – La vera novità di questi incontri, cominciati negli Stati Uniti, è proprio nella determinazione. Netanyahu comprende – forse per la prima volta – che dall’altra parte gli Stati Uniti e l’Europa sono più determinati di prima: Obama perché ha già fatto capire a Netanyahu qual è la sua voglia – mentre Kerry, il suo segretario di Stato, la sta esplicitando in maniera molto evidente – l’Unione Europea perché ha mostrato i denti, forse per la prima volta in Israele. quando ha detto: benissimo, se non si va avanti con il processo di pace, si congelano immediatamente i prodotti che arrivano da parte dei coloni. Comunque, le parti dovranno fare dei grossi sacrifici.

D. – La prima fase di questi negoziati è la definizione dei confini e della sicurezza. Stiamo sempre parlando della possibilità quindi di due Stati indipendenti?

R. – Sicuramente, un’alternativa a questo non conviene a Israele, e Israele forse lo sta cominciando a realizzare. Non c’è più un grande ritorno in Israele da parte di ebrei, mentre c’è una crescita naturale da parte palestinese, che nell’arco di qualche decennio potrebbe capovolgere quelli che sono gli equilibri di un unico Stato. Allora, i palestinesi dicono: volete un unico Stato? Attenzione, perché tra un po’ diventeremo noi, la maggioranza... Quindi, uno Stato ebraico a maggioranza araba sarebbe un nonsense. Ecco perché la soluzione dei due Stati è la soluzione più logica e più razionale. Netanyahu sa bene che nel suo Paese, negli ultimi anni, la maggioranza della popolazione israeliana è favorevole ad un accordo di pace.

D. – Questo richiamo all’opinione pubblica, poi, assume una rilevanza se un eventuale accordo di pace venga sottoposto a referendum …

R. – Sì. È una prova. Forse, Netanyahu lo ha anche detto proprio per convincere i suoi ministri più riottosi ad accettare il fatto di di compiere questi sacrifici necessari, proprio perché il referendum potrebbe far certificare dalla gente quello che la classe politica non vuole certificare.

D. – Da parte palestinese, invece, qual è la situazione, considerando anche che c’è di fatto una doppia leadership, Al Fatah in Cisgiordania e Hamas a Gaza?

R. – Questo è uno dei punti fragili del mondo palestinese. Ora, pensare a un “Hamas – stan” come era stato detto, e all’Autorità nazionale palestinese in Cisgiordania mi sembra una forzatura che indebolisce quella che è la lotta palestinese. Ripeto: i sacrifici devono affrontarli tutti. Per i palestinesi, uno dei sacrifici è la rinuncia ai confini del ’67. La rinuncia al pieno diritto al ritorno per stabilirsi in Israele è però un punto irrinunciabile per i palestinesi, ma credo che persino nella destra israeliana ci sia qualcuno che ci sta seriamente ripensando, ed è proprio Gerusalemme. Il diritto dei palestinesi ad avere in qualche modo una propria presenza nella Città santa sarebbe un obiettivo, credo, non difficilmente raggiungibile.







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