Elezioni Zimbabwe, nuova sfida Mugabe-Tsvangirai. P. Tresoldi
Elezioni presidenziali oggi in Zimbabwe, in un clima carico tensioni e di incognite
politiche. Si ripete per la terza volta la sfida tra l’anziano e controverso capo
di Stato uscente, Robert Mugabe, 89 anni, al potere dal 1980, e il premier in carica
Morgan Tsvangirai, 61 anni, che già nelle precedenti elezioni aveva ritirato la sua
candidatura al ballottaggio dopo lo scoppio di violente contestazioni con numerose
vittime. All'agenzia Misna, l’arcivescovo di Bulawayo, Alexander Thomas Kaliyanil,
ha riferito che partecipazione ed entusiasmo hanno caratterizzato a livello popolare
questa tornata. Sulla sfida elettorale, Roberta Gisotti ha intervistato padre
Efrem Tresoldi, direttore di Nigrizia, il mensile dei Comboniani:
Sei milioni
e mezzo gli elettori. Entro cinque giorni i risultati e, se necessario, l’11 settembre
vi sarà il ballottaggio. Ma niente è certo soprattutto la correttezza del voto. Il
Partito per il cambiamento democratico di opposizione al regime di Mugabe ha già denunciato
frodi nelle liste elettorali. Del resto, non sono stati ammessi osservatori occidentali.
Ma qual è la posta in gioco? Padre Tresoldi:
R. - La posta in gioco
è molto alta e ci sono grandi tensioni. Sappiamo come questo percorso, così affrettato
per volontà di Mugabe, per arrivare a queste elezioni di oggi sia stato caratterizzato
da intimidazioni, arresti dei candidati del movimento dell’opposizione. E la cosa
anche più sconcertante – che è uno dei motivi di grande preoccupazione da parte degli
osservatori internazionali – è che il registro dei votanti sia stato reso disponibile
pubblicamente soltanto il giorno prima delle elezioni. Questo registro deve essere
verificato almeno settimane prima per sapere se ci sono errori, per potersi eventualmente
appellare. Questo è già un grande abuso. L’altro fattore preoccupante è che, già da
tempo, è stata fatta richiesta da parte dell’opposizione, ma anche dalla comunità
internazionale, affinché le norme elettorali venissero armonizzate secondo la nuova
Costituzione. Ci sono ancora quelle legate alla vecchia Costituzione. Quindi, ecco,
si prevede veramente ci sia la possibilità di brogli e di irregolarità proprio a causa
di questa mancanza di trasparenza voluta dal regime e che quindi può inficiare l’esito
di queste elezioni presidenziali.
D. – Ma è pensabile che Mugabe, 89 anni,
resti al potere dopo 33 anni e dopo tante contestazioni interne e denunce internazionali
per il mancato rispetto dei diritti umani? Il popolo dello Zimbabwe – di cui si sente
poco parlare, a dire il vero – come vive? Con quali aspirazioni?
R. – Il popolo
dello Zimbabwe vuole un cambiamento, vuole arrivare a cambiare le cose. Il problema
è che si trova proprio imbavagliato, impossibilitato da tante restrizioni a partire
dalla libertà di espressione, di associazione… Sono proibite anche le manifestazioni
pubbliche dell’opposizione. Quindi, speriamo che, nonostante queste grosse limitazioni,
la popolazione possa veramente raggiungere quello a cui aspira da tanto tempo, cioè
un vero cambiamento della leadership. Anche se, dobbiamo dire, il governo di
unità nazionale che ha retto abbastanza bene dal 2009 adoggi – periodo durante il
quale c’è stata questa convivenza tra Morgan Tsvangirai e Mugabe – ha dimostrato un
po’ la debolezza del leader dell’opposizione, Morgan Tsvangirai. Tuttavia, fino ad
oggi è stata l’unica persona che ha avuto il coraggio di sfidare la leadership
di Mugabe, nonostante sia stato arrestato, minacciato di morte, e il tentativo di
eliminarlo fisicamente. Rimane quindi una garanzia, se dovesse vincere, di una speranza
di cambiamento in questo sistema così ingessato nelle mani di quest’uomo, che per
33 anni ha governato il suo Paese.
D. – Certo, i timori di violenze sono molto
alti. Proprio in tal senso, arriva oggi una lettera aperta del Concilio ecumenico
delle chiese dello Zimbabwe per scongiurare spargimenti di sangue, già avvenuti nelle
precedenti elezioni del 2008…
R. – Direi che la paura è proprio questa: che
ci sia una ripetizione di ciò che è avvenuto nel 2008, quando al primo turno delle
elezioni presidenziali Morgan Tsvangirai aveva ottenuto, mi sembra, il 47% dei voti
contro il 43 di Mugabe. Pur non avendo ottenuto il 50% più uno, avrebbero dovuto ricorrere
al secondo turno. Ma, ci sono tante gravi contestazioni da parte di Mugabe che non
ha accettato la sconfitta e da lì sono partite azioni di violenza, di repressione;
tante persone sono state uccise, detenute, torturate… Quindi, a quel tempo, Morgan
Tsvangirai aveva rinunciato al secondo turno per evitare che ci fossero nuove violenze.
C’è da augurarsi che ci sia un senso civico che possa sopraffare qualunque spinta
di distruzione, di violenza che ha tanto impaurito e traumatizzato il Paese cinque
anni fa.