Medio Oriente: Obama in una telefonata con Netanyahu incoraggia la ripresa dei negoziati
con i palestinesi
Colloquio telefonico nella notte tra il presidente Barack Obama ed il premier israeliano
Netanyahu. Il capo della Casa Bianca ha incoraggiato il leader dello Stato ebraico
“a continuare a lavorare con il segretario di Stato John Kerry per riprendere i negoziati
con i palestinesi al più presto possibile”. Giovedì Kerry – in missione nell’area
– aveva parlato di una prossima ripresa dei negoziati di pace. Le dichiarazioni erano
giunte dopo la pubblicazione delle nuove linee guida dell’Unione Europea che prevedono
l’esclusione da ogni accordo dei territori occupati da Israele. Dura era stata la
reazione proprio del premier Netanyahu, il quale aveva sottolineato: "non accetteremo
alcun diktat esterno sui nostri confini". Al microfono di Massimiliano Menichetti
il commento di Marcella Emiliani, esperta dell'area:
R. - Fino a
che non ci diranno nel dettaglio quali sono i termini del ritorno alla trattativa
tra israeliani e palestinesi, vista dell’esperienza passata, direi che conviene essere
molto cauti: sono due anni che israeliani e palestinesi non si parlano più e sono
di fronte ad un enorme blocco della situazione, che è dato dal fatto che gli israeliani
non hanno mai fermato il programma di colonizzazione dei Territori Occupati. Abu Mazen
pone come precondizione che gli israeliani non costruiscano più colonie ebraiche in
Cisgiordania; Netanyahu, invece, si ostina a non volere precondizioni da parte dei
palestinesi, perché arrivino al tavolo dei negoziati. Difficile sormontare questa
situazione, perché la colonizzazione - come sappiamo - procede imperterrita.
D.
- Le dichiarazioni di Kerry arrivano dopo che l’Unione Europea ha tracciato le nuove
regole guida per i rapporti bilaterali, anche con Israele. Sono esclusi i Territori
Occupati e Netanyahu ribadisce: non accettiamo dictat da nessuno…
R. - La
decisione dell’Unione Europea era stata presa già nel dicembre del 2012 e quindi è
stata resa operativa solo adesso. La precondizione delle sanzioni dell’Unione Europea
è quella che si rispetti la cosiddetta “linea verde”: ovvero il confine frutto di
armistizio tra Israele e Paesi arabi prima della guerra del 1967, quindi prima che
Israele conquistasse Cisgiordania, Gaza, Sinai e le alture del Golan. Oggi quando
si parla di “Territori” - visto che il Sinai è stato restituito, col Trattato di Camp
David, all’Egitto nel ’79; Gaza è stata restituita ai palestinesi, senza nessun negoziato,
dagli stessi israeliani nel 2005; le alture del Golan, per ora, non sono mai state
oggetto di un negoziato serio - si parla solo di Cisgiordania, ovvero di una parte
ormai molto risicata della Cisgiordania, proprio perché Israele continua il suo programma
di colonizzazione. Detto questo, la sanzione dell’Unione Europea sottintende l’accettazione
da parte dell’Europa del piano di pace che è stato approvato dai Paesi arabi su iniziativa
saudita nel 2002 a Beirut: la proposta lanciata dagli arabi ad Israele di fare la
pace, purché Israele si ritiri entro i confini precedenti la guerra del ’67 e quindi
la fatidica “linea verde”. Cosa, questa, che comporterebbe non solo un ritiro massiccio
di Israele da tutta la Cisgiordania, ma porrebbe poi il problema non piccolo di che
fine farebbero le colonie ebraiche. Un governo come quello di Netanyahu non sembra
proprio disposto a questo!
D. - In questi giorni è fitta l’azione diplomatica
degli Stati Uniti in tutta l’area: c’è preoccupazione per le tante situazioni di instabilità?
R.
- Sì, assolutamente sì! Diciamo che gli Stati Uniti, in questo momento, più che del
loro alleato storico - cioè Israele - sono preoccupati proprio della stabilità di
tutta l’area, che è sul punto di scoppiare per aria, perché se non si trova una situazione
di stabilizzazione dell’Egitto, verrà poi a cadere anche quello che è stato il vecchio
patto in base al quale - prima con Mubarak e dopo con Morsi - era l’Egitto che garantiva,
se non altro, la stabilizzazione del confine mediterraneo di Israele, che teneva a
bada le intemperanze di Hamas a Gaza e che teneva sotto controllo tutto il quadro
proprio dalle infiltrazioni Jihaidiste.