2013-07-16 08:02:03

Burns in Egitto: nessun modello da esportare. Ancora scontri tra pro e contro Morsi


Gli Stati Uniti non intendono imporre il loro modello sull'Egitto. Così il vice segretario di stato americano, William Burns, nella prima visita di un alto funzionario al Cairo dalla deposizione del presidente Morsi. Il diplomatico statunitense ha avuto una serie di incontri istituzionali, proprio mentre duri scontri infiammavano la capitale. Dal Cairo, Giuseppe Acconcia:RealAudioMP3

Duri scontri si sono svolti ieri al Cairo. Teatro degli incidenti via Ramsis e il ponte 6 ottobre nel centro della città tra sostenitori e oppositori dell’ex presidente Morsi, mentre la polizia ha fatto uso di lacrimogeni per disperdere la folla. Per tutta la giornata di ieri sono proseguite le marce degli islamisti che presidiano da quindici giorni il largo viale antistante la moschea Rabaa El-Adaweya nel quartiere orientale del Cairo, Medinat Nassr. Nel frattempo, continua la missione del vice Segretario di Stato degli Stati Uniti, Bill Burns, mentre arriva oggi al Cairo l’Alto rappresentante dell’Unione europea Catherine Ashton. Il tentativo è di favorire il rilascio del deposto presidente Morsi. A sostenere ancora la legittimità delle rivendicazioni dei Fratelli musulmani si sono schierati Turchia e Iran. In particolare, il ministro degli Esteri turco Ahmet Davutoglu ha ribadito che continua a considerare Morsi il legittimo presidente. In risposta, il presidente egiziano ad interim Adli Mansour ha mandato un messaggio al suo omologo turco Abdullah Gul, augurandosi stabili relazioni con Ankara. Dal canto suo, il premier incaricato Hesham El Beblawi ha proseguito i colloqui per la formazione dell’esecutivo la cui composizione sarà ufficializzata mercoledì. Per il ministero del Lavoro si fa il nome del presidente della Federazione egiziana dei sindacati indipendenti, Kamal Abu Eita.

Per un’analisi della situazione in Egitto Massimiliano Menichetti ha raccolto il commento di Massimo Campanini, docente di Storia dei Paesi islamici all’Università di Trento:RealAudioMP3

R. – Si va incontro a un periodo di grande incertezza, in cui i militari avranno un ruolo decisivo per tenere sotto controllo la situazione ed evitare che questa precipiti in uno scontro frontale che potrebbe configurarsi addirittura come una guerra civile. Le due posizioni contrapposte – i Fratelli musulmani da una parte, e il fronte laico dall’altra – credo giovi agli interessi e al controllo dei militari che, attraverso i carri armati, possono riuscire a indirizzare la situazione secondo una trasformazione costituzionale a loro gradita. Questo naturalmente non vuol dire che ne guadagnerà il cammino democratico dell’Egitto.
D. – Secondo alcuni, i militari che – lo ricordiamo – detengono i gangli vitali dell’economia, sono stati gli orchestratori di questa situazione in Egitto. Secondo lei, è vero oppure no?
R. – È verissimo, nel senso che precedentemente si era parlato di una convergenza di interessi tra i Fratelli musulmani e i militari, poi in realtà c’era stato uno scontro di potere tra il presidente Morsi e i vertici dell’esercito nell’estate 2012, dal quale Morsi era uscito vincitore. Facendo cadere il presidente e schierandosi apparentemente a favore della volontà popolare, i militari hanno ripreso il controllo della situazione e hanno rioccupato quello spazio di movimento che garantisce loro la conservazione dei propri privilegi e la difesa del proprio ruolo centrale all’interno del sistema politico egiziano. Il fatto è che si tratta - secondo me - di un passo indietro. In questo modo, siamo tornati al controllo dei militari sulla vita politica dell’Egitto, che era simile a quello dell’epoca di Mubarak, per non parlare naturalmente dell’epoca di Nasser.
D. – In Egitto, è nata anche l’Alleanza nazionale popolare, una coalizione che riunisce gruppi politici, sindacati e forze rivoluzionarie…
R. – Indubbiamente, si tratta di un tentativo di cercare di coagulare le varie componenti di quello che era il fronte dell’opposizione, che ormai possiamo dire essere il fronte governativo. Potrebbe essere una scelta importante per garantire, in una situazione di grande incertezza, la transizione del Paese. Però, il problema della risoluzione delle problematiche e delle difficoltà economiche che l’Egitto si trova davanti è un punto nodale del programma governativo di chiunque sia ancora al potere in Egitto: senza dare una risposta alle necessità quotidiane della grande popolazione egiziana, difficilmente l’Egitto riuscirà a superare in maniera positiva questa situazione di difficoltà e d’incertezza.
D. – La visita del vicesegretario di Stato americano, Burns, in Egitto viene presentata come un’occasione per sottolineare il sostegno al popolo egiziano. È così?
R. – L’interesse degli Stati Uniti, così come della geopolitica e della diplomazia internazionale, non è stato la difesa degli obiettivi e delle aspirazioni rivoluzionarie del popolo egiziano, quanto la garanzia di un equilibrio del Paese, perché sappiamo tutti qual è l’importanza dell’Egitto all’interno del mondo arabo e dell’agitato scacchiere mediorientale. Mi sembra molto pragmatico l’atteggiamento di sostenere una potenziale transizione che stabilizzi il quadro politico e istituzionale del Paese, in modo da garantire non solo gli equilibri internazionali, ma anche l’intervento e la presenza degli intessi occidentali in Egitto e in Medio Oriente.







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