Il vicesegretario Usa Burns in Egitto per tentare una mediazione
In Egitto ancora violenze nel teso e instabile clima del "dopo Morsi": almeno 3 le
vittime di ieri. Per fermare gli spargimenti di sangue si è mobilitata la comunità
internazionale: ieri la visita nel Paese del vicesegretario di Stato Usa Burns che
ha incontrato i leader egiziani ad interim, mentre oggi è atteso il capo della politica
estera dell'Unione europea, Ashton per una due giorni. I particolari da Paola Simonetti
Serpeggia
il terrore nel paese soprattutto nella città di El Arish, nel Sinai, centro di un'escalation
di attacchi dalla deposizione dell'ex presidente egiziano Morsi in un ennesimo attentato
ad opera di presunti miliziani islamici contro un bus scambiato per un mezzo della
polizia almeno tre persone sono morte e altre 15 sono rimaste ferite. Intanto dalla
zona un centinaio di famiglie cristiane sarebbero fuggite dopo le numerose vittime
registrate nella loro comunità. Un impegno per riportare stabilità nel paese giunge
dagli Stati Uniti, che oggi con l'arrivo al Cairo del vicesegretario di Stato Burns
per un incontro con i leader egiziani ad interim, hanno ribadito il loro sostegno
al popolo egiziano precisando che per gli Usa la deposizione di Morsi non è stata
un golpe. E mentre le prossime ore potrebbero essere quelle di un annuncio da parte
del premier El Beblawi della formazione del nuovo governo, l'esercito egiziano ribadisce
che nessun partito sarà escluso dalla politica. Domani al Cairo è atteso anche l'arrivo
del capo della politica estera dell'Unione Europea, Ashton. Intanto, la Russia ha
annunciato che potrebbe fornire aiuto finanziario all'Egitto, se ricevesse una richiesta
in tal senso.
Per un’analisi della situazione in Egitto Massimiliano Menichetti
ha raccolto il commento di Massimo Campanini, docente di Storia dei Paesi islamici
all’Università di Trento:
R. – Si va incontro
a un periodo di grande incertezza, in cui i militari avranno un ruolo decisivo per
tenere sotto controllo la situazione ed evitare che questa precipiti in uno scontro
frontale che potrebbe configurarsi addirittura come una guerra civile. Le due posizioni
contrapposte – i Fratelli musulmani da una parte, e il fronte laico dall’altra – credo
giovi agli interessi e al controllo dei militari che, attraverso i carri armati, possono
riuscire a indirizzare la situazione secondo una trasformazione costituzionale a loro
gradita. Questo naturalmente non vuol dire che ne guadagnerà il cammino democratico
dell’Egitto.
D. – Secondo alcuni, i militari che – lo ricordiamo – detengono
i gangli vitali dell’economia, sono stati gli orchestratori di questa situazione in
Egitto. Secondo lei, è vero oppure no?
R. – È verissimo, nel senso che precedentemente
si era parlato di una convergenza di interessi tra i Fratelli musulmani e i militari,
poi in realtà c’era stato uno scontro di potere tra il presidente Morsi e i vertici
dell’esercito nell’estate 2012, dal quale Morsi era uscito vincitore. Facendo cadere
il presidente e schierandosi apparentemente a favore della volontà popolare, i militari
hanno ripreso il controllo della situazione e hanno rioccupato quello spazio di movimento
che garantisce loro la conservazione dei propri privilegi e la difesa del proprio
ruolo centrale all’interno del sistema politico egiziano. Il fatto è che si tratta
- secondo me - di un passo indietro. In questo modo, siamo tornati al controllo dei
militari sulla vita politica dell’Egitto, che era simile a quello dell’epoca di Mubarak,
per non parlare naturalmente dell’epoca di Nasser.
D. – In Egitto, è nata anche
l’Alleanza nazionale popolare, una coalizione che riunisce gruppi politici, sindacati
e forze rivoluzionarie…
R. – Indubbiamente, si tratta di un tentativo di cercare
di coagulare le varie componenti di quello che era il fronte dell’opposizione, che
ormai possiamo dire essere il fronte governativo. Potrebbe essere una scelta importante
per garantire, in una situazione di grande incertezza, la transizione del Paese. Però,
il problema della risoluzione delle problematiche e delle difficoltà economiche che
l’Egitto si trova davanti è un punto nodale del programma governativo di chiunque
sia ancora al potere in Egitto: senza dare una risposta alle necessità quotidiane
della grande popolazione egiziana, difficilmente l’Egitto riuscirà a superare in maniera
positiva questa situazione di difficoltà e d’incertezza.
D. – La visita del
vicesegretario di Stato americano, Burns, in Egitto viene presentata come un’occasione
per sottolineare il sostegno al popolo egiziano. È così?
R. – L’interesse degli
Stati Uniti, così come della geopolitica e della diplomazia internazionale, non è
stato la difesa degli obiettivi e delle aspirazioni rivoluzionarie del popolo egiziano,
quanto la garanzia di un equilibrio del Paese, perché sappiamo tutti qual è l’importanza
dell’Egitto all’interno del mondo arabo e dell’agitato scacchiere mediorientale. Mi
sembra molto pragmatico l’atteggiamento di sostenere una potenziale transizione che
stabilizzi il quadro politico e istituzionale del Paese, in modo da garantire non
solo gli equilibri internazionali, ma anche l’intervento e la presenza degli intessi
occidentali in Egitto e in Medio Oriente.