Egitto prende forma il nuovo governo, vicesegretario Usa Burns al Cairo
Potrebbe essere annunciata già in giornata la composizione dell’esecutivo che governerà
l’Egitto del dopo Morsi, con il compito di traghettarlo verso la democrazia. Intanto,
i Fratelli musulmani condannano fermamente l’ennesimo attacco avvenuto questa mattina
nel Sinai contro un autobus di operai - tre le vittime - e puntano il dito contro
i servizi di sicurezza del Cairo, dove è arrivato il vicesegretario Usa, Burns. Il
servizio di Roberta Barbi:
Prende forma
il nuovo governo egiziano che potrebbe essere presentato già oggi: il premier El Beblawi,
dopo il "sì" di Fahmi che sarà ministro degli Esteri, ha incassato anche l’ok dell’economista
Galal per le Finanze e dell’ex giudice el-Mahdy alla Giustizia. Intanto, la Procura
del Cairo ha negato di aver iniziato gli interrogatori dell’ex presidente Morsi, ma
è andata avanti sul congelamento dei beni di 14 dirigenti della Fratellanza musulmana,
tra cui il capo Badie, su molti dei quali pendono da giorni mandati di arresto. Sul
fronte opposto, ieri è stata presentata l'Alleanza nazionale popolare: una coalizione
che unisce varie anime e che si pone l'obiettivo di scrivere una nuova Costituzione
egiziana. In questo scenario, è arrivato al Cairo il vicesegretario di Stato americano,
William Burns: è il primo esponente politico occidentale a visitare l’Egitto dopo
la deposizione di Morsi. Intanto, tornano a parlare i militari che il 3 luglio scorso
rovesciarono l'ex presidente, affermando di essere intervenuti perché Morsi aveva
rifiutato ben due volte di indire un referendum che legittimasse la sua rappresentanza
e dichiarando che da parte loro non ci sarà alcuna lista di proscrizione finalizzata
a escludere qualcuno dalla vita politica. Nel Sinai, purtroppo non si fermano le violenze:
stamani ad al-Arish uomini armati hanno attaccato un bus che trasportava operai di
un cementificio uccidendone tre e ferendone 17: i Fratelli musulmani hanno condannato
l’episodio accusando i servizi di sicurezza del Cairo di far salire la tensione nel
Paese.
Per un’analisi della situazione in Egitto Massimiliano Menichetti
ha raccolto il commento di Massimo Campanini, docente di Storia dei Paesi islamici
all’Università di Trento:
R. – Si va incontro
a un periodo di grande incertezza, in cui i militari avranno un ruolo decisivo per
tenere sotto controllo la situazione ed evitare che questa precipiti in uno scontro
frontale che potrebbe configurarsi addirittura come una guerra civile. Le due posizioni
contrapposte – i Fratelli musulmani da una parte, e il fronte laico dall’altra – credo
giovi agli interessi e al controllo dei militari che, attraverso i carri armati, possono
riuscire a indirizzare la situazione secondo una trasformazione costituzionale a loro
gradita. Questo naturalmente non vuol dire che ne guadagnerà il cammino democratico
dell’Egitto.
D. – Secondo alcuni, i militari che – lo ricordiamo – detengono
i gangli vitali dell’economia, sono stati gli orchestratori di questa situazione in
Egitto. Secondo lei, è vero oppure no?
R. – È verissimo, nel senso che precedentemente
si era parlato di una convergenza di interessi tra i Fratelli musulmani e i militari,
poi in realtà c’era stato uno scontro di potere tra il presidente Morsi e i vertici
dell’esercito nell’estate 2012, dal quale Morsi era uscito vincitore. Facendo cadere
il presidente e schierandosi apparentemente a favore della volontà popolare, i militari
hanno ripreso il controllo della situazione e hanno rioccupato quello spazio di movimento
che garantisce loro la conservazione dei propri privilegi e la difesa del proprio
ruolo centrale all’interno del sistema politico egiziano. Il fatto è che si tratta
- secondo me - di un passo indietro. In questo modo, siamo tornati al controllo dei
militari sulla vita politica dell’Egitto, che era simile a quello dell’epoca di Mubarak,
per non parlare naturalmente dell’epoca di Nasser.
D. – In Egitto, è nata anche
l’Alleanza nazionale popolare, una coalizione che riunisce gruppi politici, sindacati
e forze rivoluzionarie…
R. – Indubbiamente, si tratta di un tentativo di cercare
di coagulare le varie componenti di quello che era il fronte dell’opposizione, che
ormai possiamo dire essere il fronte governativo. Potrebbe essere una scelta importante
per garantire, in una situazione di grande incertezza, la transizione del Paese. Però,
il problema della risoluzione delle problematiche e delle difficoltà economiche che
l’Egitto si trova davanti è un punto nodale del programma governativo di chiunque
sia ancora al potere in Egitto: senza dare una risposta alle necessità quotidiane
della grande popolazione egiziana, difficilmente l’Egitto riuscirà a superare in maniera
positiva questa situazione di difficoltà e d’incertezza.
D. – La visita del
vicesegretario di Stato americano, Burns, in Egitto viene presentata come un’occasione
per sottolineare il sostegno al popolo egiziano. È così?
R. – L’interesse degli
Stati Uniti, così come della geopolitica e della diplomazia internazionale, non è
stato la difesa degli obiettivi e delle aspirazioni rivoluzionarie del popolo egiziano,
quanto la garanzia di un equilibrio del Paese, perché sappiamo tutti qual è l’importanza
dell’Egitto all’interno del mondo arabo e dell’agitato scacchiere mediorientale. Mi
sembra molto pragmatico l’atteggiamento di sostenere una potenziale transizione che
stabilizzi il quadro politico e istituzionale del Paese, in modo da garantire non
solo gli equilibri internazionali, ma anche l’intervento e la presenza degli intessi
occidentali in Egitto e in Medio Oriente.