Il Portogallo chiede a Fmi, Bce, Ue di rinviare a settembre le verifiche economiche
Il governo portoghese ha chiesto alla Troika (Fmi, Bce, Ue) di rinviare da oggi a
settembre, la verifica sul piano di rientro per il prestito di 78 miliardi concesso
nel 2011. Il Presidente della Repubblica, Silva, sta procedendo nelle consultazioni
con i leader dei tre principali partiti per risolvere la crisi politica e Lisbona
chiede dunque tempo per concludere il nuovo programma anticrisi. Della situazione
in Portogallo e delle scelte europee Fausta Speranza ha parlato con Paolo
Guerrieri, docente di Economia internazionale all’Università La Sapienza di Roma:
R. - Il Portogallo
è un Paese che in fondo è entrato in crisi non tanto perché aveva speso troppo - come
nel caso, ad esempio della Grecia – e non tanto perché si portava appresso un grande
stock di debito - è il caso dell’Italia - ma perché, in qualche maniera, aveva un
profilo basso in fondo, di semi ristagno. Per molto tempo questo era stato tollerato
anche sfruttando quei margini che poi l’Europa consentiva come contesto. Naturalmente
ci sono tantissime cose da cambiare in Portogallo. C’è una burocrazia inefficiente,
c’è uno Stato che in qualche modo spende troppo e male. Ma questi problemi denotano
delle strutture che vanno modificate. Ci sono quindi delle misure da prendere e soprattutto
ci sono interventi e riforme da fare che necessitano poi di un contesto che non sia
di recessione. E invece è questa la situazione in cui si trova oggi il Portogallo
e come sappiamo anche il resto dei Paesi indebitati. Quello che sta avvenendo, i sacrifici
sempre maggiori che sono imposti, la disoccupazione che aumenta, fanno vedere alla
popolazione, ai cittadini portoghesi, che in realtà non solo non serve a niente sacrificarsi,
ma che in qualche modo quello che l’Europa predica poi è semplicemente una serie di
cose che aggravano la situazione. Si teme, ad esempio, che se ci saranno delle elezioni,
sicuramente l’opposizione potrà in qualche modo prevalere; in questo momento quest’ultima
cavalca un forte anti-europeismo, perché questo è il modo per guadagnare facili consensi.
Quindi la situazione è pericolosa anche per questo.
D. - Nella copertura mediatica
tornano ciclicamente dei nomi di Paesi che vediamo più o meno in bilico a seconda
delle fasi che attraversiamo o dell’attenzione mediatica dedicata. In ogni caso, vogliamo
guardare un momento a Cipro?
R. - Cipro è un altro caso tra i casi di cui stiamo
parlando. Cipro come sappiamo è innanzitutto una piccola isola, quindi ha una piccolissima
economia con una situazione del tutto peculiare: ha un gigantesco sistema bancario
e finanziario che per anni aveva lucrato con la sua collocazione in qualche modo molto
fantasiosa; in poche parole, offriva laute ricompense a capitali senza guardare troppo
per il sottile alla loro provenienza e soprattutto a cosa poi fossero finalizzati.
È stato giusto intervenire, però anche qui si è intervenuto tardi e nel modo sbagliato.
Ricordiamoci che sono stati fatti almeno tre piani di interventi, dove uno ha sconfessato
l’altro. Mentre i tagli alla parte bancaria-finanziaria che si era espansa a dismisura
andavano fatti, bisognava però preoccuparsi poi di dare vigore e di rilanciare l’economia
reale, cioè i posti di lavoro e quindi la possibilità di fare attività economica.
Invece, ancora una volta, l’approccio è quello di far quadrare i bilanci, senza preoccuparsi
che senza l’economia reale, poi alla lunga anche il far quadrare i bilanci a anche
la possibilità di avere bilanci in ordine, non torna.
D. - Abbiamo imparato
che l’estate può essere un periodo molto critico dal punto di vista economico. L’Unione
Europea sta rimandando a settembre una serie di problematiche e di scadenze, come
quella dell’unione bancaria. Questo può essere un bene per alcuni Paesi perché in
alcuni casi si dà fiato, dà tempo, o può essere un male perché stiamo ulteriormente
“dilazionando” le responsabilità?
R. - Da un punto di vista politico è inevitabile,
perché sappiamo che il 22 settembre ci saranno le elezioni in Germania e ormai abbiamo
imparato che in vista di queste elezioni tutto viene piegato e in qualche maniera
rinviato. A livello economico è molto pericoloso, perché in realtà i problemi non
aspettano, e soprattutto la velocità di certe reazioni a livello di mercati e di forze
economiche non tiene conto di queste scadenze politiche.