Somalia: Al-Shabaab attacca Mogadiscio, ma in generale il Paese è più sicuro
Sebbene molto sia stato fatto negli ultimi anni, la Somalia rimane uno degli Stati
politicamente più instabili nella comunità internazionale. Ieri a Mogadiscio un kamikaze
diretto contro le forze internazionali di peacekeeping ha causato otto morti tra la
popolazione civile. A rivendicarlo il gruppo islamista Al-Shabaab, che seppure indebolito,
rimane attivo nella lotta contro il governo legittimo. Per un punto sulla situazione
nel Paese, Michele Raviart ha intervistato Nicola Pedde, direttore dell’Instute
of Global Studies di Roma:
R. – Rispetto
a due anni, c’è un netto miglioramento della situazione in alcune parti della Somalia.
Indubbiamente la riconquista del potere da parte delle autorità centrali ha generato
una serie di disequilibri nel rapporto con ciò che rimane delle milizie Al-Shabab,
che cerca sistematicamente di minare – soprattutto agli occhi della Comunità internazionale
– la capacità del governo somalo di gestire la sicurezza attraverso una serie di attacchi,
come quello a cui abbiamo assistito. Questo ovviamente è significativo, perché ci
sono delle perdite, ma in termini generali è un volume decisamente inferiore a quello
che abbiamo purtroppo riscontrato in passato.
D. – Gli islamisti di Al-Shabab
controllavano di fatto Mogadiscio e poi il porto del sud di Kisimaio. Come sono organizzati
ora?
R. – Con la caduta di Kisimaio, ad opera poi soprattutto del contingente
del Kenya, Al-Shabab ha avuto una ulteriore frammentazione. Una buona parte delle
milizie dell’Al-Shabab è stata reintegrata nelle forze di sicurezza somala, la gran
parte dei miliziani che non aveva alcun connotato ideologico. E’ rimasta, tuttavia,
ancora attiva e presente una cellula abbastanza consistente e riconducibile oggi al
jihadismo internazionale, che quindi resterà tale fino a quando non andrà a disperdersi,
man mano che le forze governative locali ed internazionali riusciranno a ristabilire
la sicurezza.
D. – Quest’anno, ci sono state due importanti conferenze internazionali
sulla Somalia, a Londra e a Nairobi: che bilancio si può fare oggi di questi incontri?
R.
– E’ sicuramente corretto l’approccio alla sicurezza che è stato dato oggi, ma è necessario
intervenire in modo consistente anche sul piano economico: o la comunità internazionale
stabilisce una linea di credito alla Somalia per la ricostruzione delle infrastrutture
fondamentali, o sarà difficilissimo attrarre capitali e investimenti nel Paese nel
prossimo futuro, permettendo questo processo virtuoso di ricrescita dell’economia
somala, che è funzionale – in questa fase – alla capacità del governo di garantire
la stabilità.
D. – Su cosa dovrebbero essere concentrati allora gli investimenti?
R.
– E’ necessario che la comunità internazionale sia solidale con il Paese, attraverso
un programma di investimenti, possibilmente gestiti attraverso le Nazioni Unite, destinati
alla ricostruzione delle infrastrutture: soprattutto il sistema stradale è quello
che penalizza enormemente qualsiasi tipo di intervento sulla ricostruzione. Alla sicurezza,
che è la fase dove, bene o male, si è riusciti con un certo margine a garantire un
risultato delle aree urbane, sarebbe in questo momento opportuno e anzi fondamentale
accompagnare un piano di ricostruzione, garantito tuttavia della Comunità internazionale.