Stallo tra le due Coree sulla riapertura del sito industriale di Kaesong
Si è concluso con un nulla di fatto anche l’ultimo round di colloqui tra le due Coree,
svoltosi mercoledì scorso per la riapertura del complesso industriale di Kaesong,
in territorio nordcoreano ma con imprese sudcoreane. Ci si è aggiornati a lunedì prossimo.
Quali sono le reali possibilità di una soluzione? Roberta Barbi lo ha chiesto
a Francesco Sisci, corrispondente in Asia del quotidiano La Stampa ed esperto
dell’area:
R. – Poche,
perché il problema non sono i colloqui tra le due Coree, ma è il ritorno della Nord
Corea ai colloqui a Sei. Da una parte la Nord Corea vorrebbe stabilire contatti diretti
scavalcando la Cina e la Sud Corea, ma naturalmente l’America non ci sta perché sarebbe
come annullare l’esistenza della Sud Corea ed elevare lo status del Nord. D’altra
parte la Cina dovrebbe,vorrebbe fare pressioni forti sulla Nord Corea e questo porterebbe
al crollo del regime però il futuro non sarebbe affatto chiaro: non è chiaro cosa
avviene dopo la Nord Corea, dopo il crollo del regime di Pyongyang. Ciascun Paese,
poi, ha una sua agenda specifica: i giapponesi sono interessati a quei giapponesi
rapiti e alla questione dei coreani che vivono in Giappone. L’agenda è molto complicata
e Pyongyang non ha oggi incentivi sufficienti per tornare al tavolo delle trattative.
D.
– Seoul ha chiesto a Pyongyang l’assicurazione che in futuro non bloccherà unilateralmente
la zona visto che questi tre mesi di stop delle attività a Kaesong hanno causato danni
per un miliardo di dollari?
R . – Sono assicurazioni che sono state più volte
richieste a Pyongyang, ma Pyongyang si comporta e si è comportata in passato con assoluta
mancanza di rispetto per le norme internazionali o anche con gli accordi presi.
D.
– Un altro nodo in sospeso tra i due Paesi è la questione delle famiglie separate
dall’espulsione dei sudcoreani dal complesso turistico del Monte Kumgang in territorio
nordcoreano, una volta considerato il simbolo della cooperazione tra i due Paesi…
D.
– Anche quella viene usato come un’arma da parte di Pyongyang verso Seoul. Anche questo
problema - temo - non sarà risolto a livello bilaterale, ma solo nell’ambito dei
colloqui a Sei.
D. – Ma allora si può parlare davvero di una fase di distensione
dopo la crisi di aprile?
R. – Non credo. Dobbiamo aspettare che Pyongyang ritorni
ai colloqui a Sei. Siamo in un momento di stallo - direi - più che di distensione.
D.
– Come viene vista la questione a livello internazionale?
R. – I cinesihanno un approccio un po’ diverso rispetto al nostro, confrontano la crisi coreana
con quella della Siria e dell’Egitto, della Libia, dell’Iraq, dell’Afghanistan: in
tutti questi Paesi ci sono stati grandi sommovimenti, grandi alterazioni del quadro
politico locale e però, ad anni di distanza, la situazione non è migliorata, anzi
forse è peggiorata, sia a livello locale sia a livello regionale. Per Pechino, prima
ancora di aprire una nuova fase della politica nordcoreana, è importante capire qual
è il coperchio o la pentola in cui verrà “versato” il contenuto attuale di Pyongyang.
Senza queste prospettive, almeno di una nuova fase abbastanza chiara in Nord Corea,
temo che i cinesi non saranno molto collaborativi o troppo collaborativi nel mettere
pressione su Pyongyang. Credo che senza una collaborazione attiva cinese la questione
nordcoreana sia destinata a prolungarsi.