2013-07-12 08:19:04

Argentina. Appello dei vescovi: la povertà è uno scandalo


Un richiamo forte ai temi della giustizia, della libertà e dell’inclusione sociale è venuto martedì scorso dai vescovi argentini in occasione delle celebrazioni per il giorno dell’indipendenza (venne proclamata il 9 luglio 1816 a Tucumán). Lo riferisce L’Osservatore Romano. In particolare, mons. Alfredo Horacio Zecca, arcivescovo di Tucumán, ha sottolineato che «Francesco vuole una Chiesa povera al servizio dei poveri, ma il Papa ha avvertito che questo non può diventare uno slogan ripetuto in maniera irresponsabile. Una Chiesa povera è una Chiesa che, lungi dal chiudersi in se stessa, lascia che la luce del mondo, cioè Cristo, risplenda sul suo volto. Una Chiesa laboriosa, missionaria, al servizio di tutti e aperta a tutti, soprattutto — ha aggiunto il presule — a quelli che vivono nelle periferie, agli emarginati. La Chiesa non può né io posso come arcivescovo — ha detto mons. Zecca — non riconoscere che la verità della fede e della carità che predichiamo non ha avuto il dovuto impatto sociale. L’opzione preferenziale per i poveri non dà i frutti che permettono di guardare al futuro come a un tempo di fraternità e di pace». Per l’arcivescovo di Tucumán, la distribuzione della ricchezza in America latina e in Argentina continua a essere deficitaria: «Non possiamo non riconoscere gli sforzi finora compiuti ma nemmeno omettere che la nostra azione è stata insufficiente. Questo — ha aggiunto — produce un paradosso doloroso sia per il continente che per la nazione: essere la regione più cattolica del pianeta e, allo stesso tempo, se non la più povera, almeno, quella con più disuguaglianze. La povertà in Argentina è uno scandalo. E di questa situazione siamo tutti responsabili, dirigenti, cittadini, pastori e fedeli». L’arcivescovo di Tucumán ha poi sottolineato che «insieme alla disuguaglianza vi sono altre situazioni che necessitano un intervento immediato e che sono legate alla povertà: la discriminazione, la precarietà nel lavoro, la disoccupazione, il narcotraffico, la tratta di esseri umani, la corruzione, le varie forme di violenza, gli attentati alla vita si indeboliscono sempre più. Manca una cultura della solidarietà». Di coesione, libertà e bene comune ha parlato anche il vescovo di San Isidro, mons. Óscar Vicente Ojea, durante le celebrazioni per il giorno dell’indipendenza: «Indipendenza vuol dire libertà, autonomia, ma anche identità. La patria in questi duecento anni è stata alla ricerca di un’identità che non ha ancora trovato a pieno. Si è dotata di una Costituzione, ma ancora non ha chiara l’identità della nazione. Siamo ancora in debito con noi, dobbiamo donarci un progetto, come nazione, che ci illumini a lavorare insieme. Stiamo scoprendo e conoscendo le nostre diversità. Abbiamo lottato tanto — ha concluso — ma vi sono ancora molte divisioni. Nessun fratello deve essere escluso dalla mensa comune». Anche per il vescovo di Nueve de Julio, Martín de Elizalde, e il vescovo di Catamarca, Luis Urbanč, non si può rimanere indifferenti davanti alla sofferenza e alla disperazione. «La riduzione della povertà, la distribuzione equa dei beni, la tutela della vita dei cittadini — ha detto mons. de Elizalde — sono minacciate dall’insicurezza e dalla violenza. L’indipendenza proclamata quasi duecento anni fa è ancora incompleta e rimarrà tale se non verranno applicati i giusti principi che l’hanno ispirata». (I.P.)







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